“Musica solida” quando la letteratura si lega alla musica

“Musica solida” quando la letteratura si lega alla musica

Iniziando da questa, pubblicheremo, una alla settimana, tre interviste a musicisti/scrittori che dimostrano quanto l’arte, la musica e la cultura siano strettamente e indissolubilmente legate fra loro: Vito Vita, Guido Guglielminetti e Marco Carena.

 

Partiamo con Vito Vita. Il suo incontro con la musica è avvenuto negli anni settanta collaborando con Radio libera torinese. Negli anni Ottanta, poi, ha scritto recensioni e articoli di musica su «Gioventù Operaia». Nel 1987 ha cofondato la band rock demenziale Powerillusi. E’ anche autore di numerosi libri.

 

La sua ultima fatica letteraria  è Musica Solida edita Miraggi Edizioni.

 

Musica Solida è un affascinate volume che narra la storia del vinile in Italia, dai 78 giri in gommalacca al primo vinile artigianale, fino al boom dei 45 giri, gli sviluppi del secondo dopoguerra, i decenni successivi.

Queste interviste sono state rese possibili grazie alla collaborazione di Fausto Bailo e Cuordivinile di Bra (Cn)

Cosa l’ha spinta a scrivere Musica solida?

La scintilla è avvenuta esattamente dieci anni fa, nel 2009. All’epoca lavoravo per una rivista, “Musica leggera“, che era un po’ la mamma di “Vinile“, lo staff era lo stesso.
Ero a Roma per una riunione della redazione e mi portarono a cena in un ristorante; a un certo punto Francesco Coniglio, l’editore, mi disse “Laggiù dove ci sono le cucine, De Gregori ha registrato il provino di Alice, mentre di là Rino Gaetano ha inciso Ma il cielo è sempre più blu.”

Io non capivo, poi mi hanno spiegato che quel ristorante era sorto dove c’era il Cenacolo, cioè gli studi che l’RCA Italiana usava per far incidere i provini ai nuovi giovani artisti; mi dissero inoltre che la sede storica dell’RCA in via Tiburtina era diventata un magazzino all’ingrosso di scarpe.
Il mio pensiero fu che se fosse successa una cosa del genere in Francia, che so alla Vogue o alla Barclay, l’avrebbero subito trasformata nel “Musée de la chanson“, mentre invece in Italia tutto era avvenuto nella sostanziale indifferenza di tutti. Mi è venuta così l’idea di raccontare la storia delle case discografiche italiane storiche, che avevano tutte fatto la stessa fine (dalla Ricordi alla CGD, dalla Durium alla Ariston)”.

Quanto è stata complessa la realizzazione di questo libro?

Alla sinistra Guido Guglielminetti, Maurizio Marino, Marco Carena, Vito Vita

Ho avuto subito chiaro che avrei dovuto integrare le fonti cartacee (riviste musicali, cataloghi discografici) con quelle orali, cioè con le interviste effettuate ai personaggi che nell’industria discografica hanno lavorato (produttori, editori, arrangiatori, musicisti).
Il difficile è stato contattarli, in molti casi si trattava di persone molto anziane, e intervistarli cercando di tirare fuori dai loro ricordi gli aspetti più interessanti legati all’oggetto del libro.

Ci racconti qualche aneddoto curioso legato del libro…

Ce ne sono molti, anche perchè per rendere più agevole la lettura ho cercato di alternare i momenti più narrativi, quindi storici (perché il libro è anche la storia di un settore industriale) con quelli aneddotici. Mi viene in mente per esempio quello che ha raccontato Vittorio Renda, titolare della Rainbow, che nel 1961 aveva fatto incidere a un giovane toscano Aldo Caponi, una canzone intitolata “La storia di Frankie Ballan“, con lo pseudonimo Kleiner Agaton.

Un giorno Renda si vide arrivare Agaton con un signore ben vestito, presentato come il suo avvocato, e gli raccontò che la madre di una ragazza aveva riconosciuto nel testo di “La storia di Frankie Ballan” la vicenda di sua figlia, che era scappata di casa come la protagonista del brano, per cui per evitare guai gli chiese di restituirgli i master della canzone, con un risarcimento di cinquantamila lire.

Renda acconsentì, e pochi mesi dopo la canzone venne pubblicata invece dal Clan Celentano, e Caponi aveva cambiato lo pseudonimo in Don Backy. Il falso avvocato era Alessandro Celentano, fratello del cantante e amministratore del Clan, e la truffa era stata fatta per impedire alla Rainbows di ristampare la versione originale del brano.

Nell’ultimo decennio si è verificata una riscoperta del vinile. Secondo lei si tratta di una moda, oppure di una rinascita?

Mah…all’estero pare che i numeri stiano cominciando a diventare rilevanti, in Italia il mercato cresce lentamente, mentre sta calando vertiginosamente quello dei cd.

Una cosa singolare è il successo dei vinili in edicola: in certi casi, penso per esempio al disco postumo di Francesco Di Giacomo, sono stati stampati direttamente in vinile e venduti nelle edicole raggiungendo numeri importanti (quello del cantante del Banco si è attestato oltre le diecimila copie, che per un vinile di questi tempi è un traguardo importante).

Se dovesse mettere in una macchina del tempo 10 vinili, quali donerebbe alle future generazioni?

…soltanto dieci? Allora mi limito a quelli italiani, e solo ai 33 giri:

1) Anima latina (Lucio Battisti)
2) Storia di un minuto (Premiata Forneria Marconi)
3) Io sono nato libero (Banco del Mutuo Soccorso)
4) Titanic (Francesco De Gregori)
5) Radici (Francesco Guccini)
6) Arbeit macht frei (Area)
7) La voce del padrone (Franco Battiato)
8) Quelli che… (Enzo Jannacci)
9) Kinotto (Skiantos)

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