“Nero come la notte” ce ne parla l’autore Tullio Avoledo
Tullio Avoledo ,friulano, è nato a Valvasone nel 1957 e vive e lavora a Pordenone.
Vanta numerose pubblicazioni con le più prestigiose case editrici (Einaudi, Marsiglio, Sironi) e i suoi libri sono stati tradotti in inglese, spagnolo, tedesco, russo, polacco e ungherese.
Quest’anno è uscito il suo ultimo libro dal titolo: Nero come la notte edito Marsilio Editori.
Per questa intervista, ringraziamo Fausto Bailo e la Premiata Libreria Marconi di Bra (Cn)
Quando è nata in lei la passione per la scrittura?
“Mi rendo conto di scrivere da sempre. Recentemente ho trovato un taccuino di un mio viaggio in Venezuela, nel ’75, dove ci sono poesie e piccoli abbozzi di racconti, una specie di diario di viaggio che tenevo giorno per giorno, una scatola della memoria in cui ritrovo l’odore salmastro dell’oceano, il rumore della pioggia fra le mangrovie, la vivacità degli occhi di una ragazza che ora, uh…, mamma mia…, oggi dev’essere una signora di quasi sessant’anni.
Poi ho collaborato per anni con un giornale locale, scrivendo di consigli comunali e di piccoli fatti di cronaca. Ma la molla vera è scattata nel 2000, quando, per tirarmi fuori da una vita lavorativa priva d’interessi e di stimoli, ho frequentato un corso di scrittura a Pordenone. E’ stato bello trovarsi assieme ad altri che come me condividevano l’amore per la lettura, e volevano provare a scrivere. Diciamo che il motore della scrittura era pronto e in perfette condizioni da sempre, ma bisognava premere il pulsante d’accensione, cosa che fece quel corso alla Casa dello Studente al quale non sarò mai abbastanza grato”.
Quali sono stati i suoi autori di formazione?
“Da piccolo, lessi tutto Salgari e Verne, ma proprio tutto quello che avevano scritto. Da giovane mi appassionai a Hemingway, Steinbeck, Conrad, Orwell. I sette pilastri della saggezza di T. E. Lawrence furono un libro di formazione. E poi gli autori di fantascienza, dai più noti ai meno conosciuti. Ero un lettore onnivoro ed estremamente vorace. Fra gli italiani amavo Soldati, Vittorini, Fenoglio, Arpino, Cassola… Da ognuno di loro ho imparato qualcosa. Fra i libri letti da giovane che mi sono rimasti impressi nella mia memoria di scrittore ci sono gli apparentemente marginali Tirar mattina di Simonetta e Ritorno a Brideshead di Waugh. E soprattutto Ballard, Burgess e Dick… Uh, quanti nomi… ”
Qual è stata la scintilla che l’ha portata a scrivere Nero come la notte?
“Essenzialmente la necessità di testimoniare la crisi che stiamo attraversando, e di farlo attraverso un personaggio che mantenesse la giusta distanza sia dalle Zattere che dalla città “normale” che sta loro accanto e da un momento all’altro potrebbe distruggerle. E’ un romanzo di denuncia sotto forma di noir. Ma è anche un noir a tutti gli effetti”.
Quali sono state le sue fonti di ispirazione?
“Mia moglie un giorno mi ha mostrato un articolo di giornale sull’Hotel House, un edificio alla periferia di Porto Recanati occupato abusivamente da una comunità multirazziale. In quel periodo stavo leggendo la storia di un ufficiale francese che nel 1954 si era fatto dimettere dall’ospedale militare e si era lanciato con il paracadute su Dien Bien Phu assediata dai vietcong e ormai prossima a cadere.
Stavo ascoltando il nuovo disco di Bertrand Cantat e uno dei versi di una canzoni diceva “bisognava essere pazzi / come per farsi lanciare su Dien Bien Phu”… Sincronicità, direbbe Jung. Le tre cose sono rimaste a maturare in un angolo in penombra del mio cervello, e alla fine si sono ibridate e hanno fatto spuntare i primi germogli di questo libro. Mi sono informato bene sull’Hotel House e poi l’ho trasportato di peso nel Nordest in cui vivo.
Ho immaginato una forma di autogoverno, alcuni personaggi, un mercato nel corridoi sotterranei, una piscina all’ultimo piano che è in realtà una riserva d’acqua contro gli incendi. A un certo punto ho sentito un suono di violino che riverbera, di notte, sotto le volte di quella piscina… I fantasmi di Dickens e di Vittor Hugo si fermavano e sbirciavano lo schermo del mio portatile mentre, riga dopo riga, appariva Nero come la notte“.
E Sergio Stokar, come nasce questo personaggio?
“Non volevo un eroe buono… o peggio, buonista… Volevo, anzi, un protagonista pieno di pregiudizi, come ormai di fatto lo siamo tutti… Volevo un osservatore prevenuto, che pesasse con attenzione e diffidenza quello che vede e vive prima di decidere se è bene o male.
C’era il rischio di scadere nell’esotismo o nel pietismo, nel descrivere le Zattere e l’umanità che le abita. Stokar, con i suoi miti e paramiti nazisti, se vede del bene alle Zattere, vuol dire che il bene c’è veramente. Io l’ho immaginato come un gladiatore stanco, pieno di cicatrici, ma che le donne trovano ancora attraente. Così, per evitare altri possibili cliché l’ho castrato chimicamente, in modo che non deviasse dal percorso che gli avevo assegnato.
Poi, quando pensavo che fosse solo una mia creatura, un burattino al servizio del racconto, Sergio ha cominciato a fare cose che non mi aspettavo, a ribellarsi alla trama. Ha preso ad agire come una persona vera. Che è forse la cosa più bella che possa capitare a uno scrittore. Almeno, per me è così”.
Progetti per il futuro?
“Tanti. Un romanzo è già scritto, ed è stato scritto di getto, proprio per scuotermi di dosso la violenza di Nero come la notte. E’ un romanzo solare, pieno di luce e mare. Ma non voglio parlarne, voglio sia una sorpresa. Poi sto lavorando a un altro noir, e proprio ieri mi è venuta un’idea perfetta per un secondo romanzo con protagonista Sergio Stokar. Ho già l’ambientazione, i personaggi e la storia. Ma so che Sergio anche stavolta non mancherà di sorprendermi”.