Fumetti: “Gli occhi e il buio” di Gigi Simeoni
Gli occhi e il buio
di Gigi Simeoni
(Sergio Bonelli Editore, 2020)
Gli occhi e il buio, scritto e illustrato da Gigi Simeoni, uscito originariamente nel 2^ numero dei Romanzi a fumetti (Sergio Bonelli Editore), riprende vita nel 2020 con nuova ristampa.
Una storia quasi gotica, dove l’amore per l’arte diventa ossessione e possessione. Siamo a Parigi, 1907. Sconvolto dalla tragica morte della fidanzata, il ritrattista Alessandro Simonetti si trova scaraventato in uno stato allucinatorio permanente, che interpreta come un’illuminazione: l’occasione per dedicarsi alla ricerca della sua arte più pura.
Milano, 1908. Una serie di efferati delitti sconvolge la città. L’indagine è affidata al commissario delle Guardie di Città Matteo de Vitalis, che forma una squadra antimostro decisa a tutto pur di fermare il pericolosissimo Fante di Cuori.
Gigi Simeoni si forma come creativo e illustratore pubblicitario, ma è anche uno scrittore. Dopo il diploma di liceo scientifico sperimentale artistico e la specializzazione allo Studio di Arti Visive di Héctor Ruben Sosa, nel 1990 esordisce nei fumetti con le strisce di Dott. Jekill e Mrs Hyde, Zompi, Il lupo mannaggia (su Cattivik), Mac Murphy (su Nick Carter) e le parodie Gli improbabili, Shining e Terminator (su Futuro Zero).
Nel 1991 passa al fumetto realistico con Fullmoon Project (Eden/Center TV), Lazarus Ledd e, in team, crea la testata di fantascienza Hammer (Star Comics). Innumerevoli le collaborazioni.
Dal 2019 insegna alla Scuola Internazionale di Comics di Brescia.
Nel 2021 pubblica il primo romanzo in prosa, I lupi di Hitler (Newton & Compton), tratto dal graphic novel La corsa del lupo.
Ci parli di lei e del suo incontro con il fumetto…
“Disegno con una certa dedizione da quando riesco a ricordare, grosso modo, probabilmente già dalla scuola materna. Ho sempre visto nel disegno una sorta di possibilità creativa, più che di replica. I fumetti li guardavo prima ancora di saper leggere, e cercavo di capirne il senso basandomi solo sui disegni. Infatti, questa cosa di apprezzare meglio un’opera a fumetti se già mi coinvolge soltanto con le tavole illustrate è un metro di giudizio che mantengo ancora oggi. Poi crebbi, imparai a leggere, e imparai anche a desiderare di volermene occupare in modo continuativo.
Scoprii, man mano, gli autori che mi hanno forgiato: prima Cavazzano, Scarpa, Jacovitti, Bonvi, poi Magnus e Bunker, Abuli e Bernet, Manara, Pazienza, Tamburini e Liberatore, Moebius, Bilal, Caza, Eleuteri Serpieri... non finirei più di elencarli. Ma alla fine, chi davvero mi si è seduto dentro la pancia sono stati Magnus, Andrea Pazienza e Jordi Bernet. In effetti, oggi – sebbene per campare mi sia poi spostato sul fumetto realistico-avventuroso – la vena grottesca emerge prepotentemente”.
Come è avvenuto l’incontro con Sergio Bonelli Editore?
“Io e i miei colleghi di Brescia lavoravamo insieme in una piccola redazione/catena di montaggio della testata Hammer, pubblicata dalla Star Comics. Erano gli anni ’90, quelli del boom dei cosiddetti bonellidi, che davano ossigeno anche ad altri editori. Lì eravamo oltre che autori delle storie, anche redattori, impaginatori, grafici e coordinatori. Insomma, creavamo da zero una testata completa e rifinita. Io, al contempo, facevo anche l’illustratore, il copy e il creativo per alcune agenzie pubblicitarie. Inoltre, collaboravo anche come autore di strisce umoristiche e grottesche con Silver e Bonvi, ma pubblicando sempre personaggi miei.
Mi proposero anche di scrivere e disegnare per Cattivik, ma preferivo restare sulle creature mie. Poi Hammer chiuse quasi all’improvviso, e mi ritrovai a spasso. nel frattempo, però, ci eravamo fatti notare dalle maestranze della Sergio Bonelli Editore. Antonio Serra ci contattò alla chetichella, e uno per volta entrammo a far parte della scuderia. Ci sparpagliarono su diverse testate, e io iniziai disegnando storie di Nathan Never, per poi – col tempo – iniziare a farmi avanti anche come soggettista e sceneggiatore. Ruolo, quello dell’autore completo, che ho definitivamente mantenuto”.
Quale è stata la genesi di Gli occhi e il buio?
“L’idea centrale mi frullava in testa da qualche anno: la creatività ha un limite? Dove sono i confini della moralità, quando si tratta di arte? Eccetera. Argomenti pesanti, ma interessantissimi. Intorno al 2004/2005, in redazione si iniziò a parlare di una testata contenitore fortemente voluta da Sergio, dove convogliare i soggetti troppo corposi e svincolati dalle serie già esistenti. In una parola, One-Shot, oppure … Romanzi a fumetti (dato che Graphic Novel non piaceva alla Direzione in quanto già inflazionato).
Subito, presi la notizia come l’occasione che non potevo lasciarmi scappare. Era sempre stato il mio sogno, oltre a quello – che riprenderemo dopo – di occuparmi di Dylan Dog. Così, scrissi il soggetto cercando di essere sintetico ma immediatamente coinvolgente, per farmi dire di sì. Sfruttai, insomma, tutto ciò che avevo imparato scrivendo annunci pubblicitari, e vidi presto che avevo imparato bene il mestiere: Sergio Bonelli e Decio Canzio mi convocarono e mi dissero che la mia idea li entusiasmava perché parlava di una Milano – la loro città natale – che non esisteva più, coi navigli, le case chiuse, i lampioni nella nebbia … come le atmosfere della Londra Vittoriana. Così, gonfio di entusiasmo a mia volta, partii con il lavoro”.
Ci dica qualcosa sulla trama…
“Potrebbe sembrare un poliziesco, ma non lo è. In realtà, è il racconto di una caduta vertiginosa. Partiamo, già all’inizio, sapendo chi è l’assassino e come si è trovato nella situazione di commettere il prima di una lunga serie di omicidi. La storia è ambientata tra Parigi e Milano, all’inizio del ‘900.
È la cronaca degli ultimi anni di vita di un artista superiore a ogni altro, intelligente e mostruosamente perverso, che fa dell’omicidio seriale il suo terreno di scoperta, alla ricerca della sua arte più pura e selvaggia.
Ma non ha fatto i conti con la sua Nemesi, un giovane commissario di polizia, suo coetaneo, che affronta la caccia al serial killer applicando scrupolosamente i metodi moderni dell’investigazione scientifica, ideata e applicata per la prima volta al mondo proprio in Italia, in quegli anni. Il terzo polo narrativo è un giornalista, che all’epoca era certamente più capace di avvicinare la gente comune per raccogliere informazioni, rispetto ad un rappresentante della Legge (che in genere erano temuti e odiati per i modi troppo spesso spicci e violenti di amministrare l’Ordine)”.
Quanto tempo ha richiesto scrivere la sceneggiatura?
“Circa due mesi per le ricerche iniziali ed imbastire il soggetto, e poi sei mesi per scrivere la sceneggiatura. Due anni, invece, per disegnare le tavole”.
Quale tecnica grafica ha utilizzato per la creazione delle tavole?
“Perfettamente tradizionale, analogica: matita, ripasso a china con pennino, pennello, pennarelli e correttore a tempera”.
Secondo lei, quale tavola può riassumere la sintesi del fumetto?
“Beh, è difficile da dire. I tempi della narrazione vedono location e situazioni molto diverse… però, se dovessi scegliere con la classica pistola puntata alla tempia, direi che la tavola che appare a pag 71 dell’edizione più recente è piuttosto inquietante ed eloquente.”
Progetti per il futuro?
“Un progetto molto in argomento e del quale ormai è certo anche l’approdo è la pubblicazione della versione in prosa de Gli occhi e il buio, che dovrebbe uscire verso natale.
L’editore è Newton & Compton, e il titolo definitivo è ancora da decidere. Riguardo ad altre idee, sto costruendo qualcosa con il regista Massimo Coglitore per portare al cinema alcuni progetti nostri, tra i quali – guarda caso – anche un film tratto da Gli occhi e il buio.
Riguardo ai fumetti, continuo la mia collaborazione con Tiziano Sclavi su Dylan Dog. L’indagatore dell’Incubo è un personaggio perfetto, per me, e quando ci lavoro mi sento come un topo sul formaggio”.
Intervista a cura di Fausto Bailo, promotore culturale.