‘(Non) sono racconti porno’ di SH4
(Non) sono racconti porno
di SH4
(De Comporre edizioni, 2022)
Chi è SH4
SH4 è un gruppo di quattro donne Barbara Della Notte, Floriana L’Arco, Sabina Intrivici e Silvia Spera, una sociologa, una fisica, una ingegnera e una matematica, che lavorano in in aziende hi-tech e vivono in città diverse.
Unite dalla passione per la letteratura, hanno dato vita ad un collettivo per dare voce alla propria creatività. Credono nel potere salvifico delle parole. “(Non) sono racconti porno” è il loro primo esperimento letterario. Ecco chi sono:
Barbara Della Notte è nata a Napoli durante un’eccezionale nevicata che ancora molti ricordano. È cresciuta a Formia ed è emigrata prima a Milano e poi a Roma, sbarcando infine nel luogo a lei più congeniale: un’isola. Ipocondriaca e ansiosa, sopravvive grazie alla pazienza degli amici e a una buona dose di ironia e curiosità. Attacca bottone con chiunque ma le piace vivere da sola.
Ama il mare, il cinema, le parole, il jazz, suo nipote e il trekking. Non necessariamente in quest’ordine. Da bambina sognava di fare la scrittrice e di vivere in un’enorme casa sulla spiaggia con un peloso cane bianco. Una parte di quel sogno vorrebbe ancora realizzarla. E non è il cane, né la casa grande.
Floriana L’Arco ama le Madonne fondo oro delle tavole del Quattrocento, mangiare e bere (soprattutto bere), ama salire in cima alle montagne, odia camminare però è costretta a farlo altrimenti non arriverebbe in vetta. È detta wikiflo perché ha una memoria formidabile per ciò che le interessa veramente. Detesta gli aggettivi dimostrativi e le persone che usano l’apostrofo al posto dell’accento. Adora il teatro e in passato ha calcato varie volte le scene insieme al suo narcisismo.
Sabina Intrivici si definisce felicemente raminga ed è in cerca del prossimo luogo in cui andare a vivere. Orgogliosa della sua terra bedda, è legata con sentito affetto a Torino e adora Milano per la sua effervescenza. Non potrebbe concepire un mondo dove non sia consentito viaggiare. Non sopravviverebbe al divieto di chiacchierare. In metro viene rapita da discorsi comuni di passeggeri sconosciuti. È un’insaziabile curiosa. Karate, danza classica, canto jazz sono stati alcuni timidi assaggi di vita. Ah, esplorare i fondali di Linosa è stato per lei tanto smarrirsi (per la paura!) quanto ritrovarsi nel brodo primordiale. Odia le zanzare.
Silvia Spera si commuove davanti alle formule matematiche che sono l’anima del mondo. Ama suo figlio Riccardo, tanto, tantissimo. S’immerge in acque profonde sentendosi parte del mare e delle sue onde. Le piace alzare il volume dei silenzi delle notti d’estate, le t-shirt bianche per scriverci sopra qualcosa, quando il vento si leva, il sapore del Fiordi Fragola e la pioggia tranquilla che rinfresca la terra, quando il vento si leva.
Silvia si emoziona sempre e troppo per le cose della vita, odia chi rimanda e chi non partecipa. Non lascerebbe Roma per nulla al mondo. Ha un sogno: avere un giorno la vespa di Nanni Moretti.
Di cosa parla il libro
(Non) sono racconti porno nasce da un esperimento di scrittura che intendeva in partenza investigare la materia pornografica da un punto di vista femminile e letterario. Poi deve aver svoltato. Quello che le autrici hanno realizzato, infatti, è un’antologia di 28 racconti brevi, divisi in cinque sezioni: Duri e crudi, Smarrimenti, Mostri nel cassetto, Non bisogna aver paura di scrivere la parola amore, Qualcosa di bislacco, (Non) sono racconti porno. Ultima sezione e ultimi quattro racconti, che invece, a dispetto del titolo sono decisamente porno.
Gli altri, quasi tutti, sono un concentrato di miserie umane, in cui i protagonisti – di ogni genere, età, classe sociale e, aggiungerei, periodo storico – sono votati alla sopraffazione, al sopruso, all’abuso. Carnefici che si trasformano in vittime e viceversa. C’è il giovane scout che subisce la castrazione psicologica della sua istruttrice, ma che poi ne diventerà l’amante in un rapporto sadomaso; c’è il borghese romano benestante che si trasforma in uno spietato assassino necrofilo; c’è un terzo millennio distopico, che alla fine rivela un atto di generosità autodistruttiva; la giovane impiegata che sfonda la testa del manager aziendale che l’ha appena licenziata; il viaggio nel passato, con la terribile vicenda di un giovane frate ermafrodito che scatena gli appetiti di un intero paese; c’è la prostituta che cade nelle maglie dell’inquisizione. C’è la pandemia e ci sono i migranti annegati nel mare nostrum.
Reportage minimi di una coscienza collettiva che nasconde un giudizio spietato sull’umanità a prescindere dal tempo e dallo spazio.
Che cosa ne penso
(Non) sono racconti porno è il risultato di una lenta maturazione del progetto di partenza (investigare il porno dal
punto di vista femminile e letterario) che il collettivo SH4 si era posto. Come se, strada facendo, le autrici si fossero rese conto, sono loro stesse a scriverlo, “che l’ispirazione arrivava da altri temi e che le storie, invece di raccontare il piacere, svelavano la pornografia del quotidiano e l’oscenità della condizione umana”.
Da qui il titolo: (Non) sono racconti porno e la varietà dei generi che il lettore si trova davanti. Titolo che gioca con il progetto di partenza, poi trasformato in molto altro, ma alla fine non troppo diverso.
Porno, osceno, alla fine è la definizione di un mondo terribile, via via svelato dalle autrici volutamente provocatorie e malgrado le loro stesse intenzioni. Insomma uno stimolo per la curiosità e un invito a leggere.
Il prodotto finale è una antologia di storie che attraversano il genere pulp, il noir, che sono surreali o estremamente violente (gore come si dice), raccontate da osservatrici esterne, che siano scritte in prima o in terza persona. Sono scene, bozzetti rosso sangue, che in poche ma decise pennellate piazzano sul piatto del lettore la crudeltà, le vulnerabilità, le paure, le speranze del genere umano.
Si prova un senso di sollievo alla fine di alcuni racconti. Meno male è solo una storia, meno male vivo in altro tempo, meno male a me non succederà mai. Un tentativo di esorcizzare paure ancestrali proiettandole nelle disgrazie altrui.
Il contenuto, dunque, è molto eterogeneo. Non lo è, invece, la forma e l’impostazione. È chiaro che c’è stato un deciso lavoro di editing collettivo, successivo alla scrittura individuale, per alleggerire l’impronta personale e omologare il tratto. Un lavoro riuscito perché la differenza tra un collettivo e autori vari stra proprio in questo. Non basta non firmare i racconti, bisogna che il lettore percepisca un’unica mano. Del resto è quello che ha fatto il collettivo più famoso, Luther Blisset con il suo Q.
In questo SH4 ha colto nel segno, là dove, anche a una seconda e più attenta lettura, non si riesce a individuare in
tratto distintivo che accomuna gruppi di racconti. In poche parole sono il frutto della creatività individuale e il risultato di un profondo lavoro collettivo.
Non serve chiedersi quanto ci sia di personale, di autobiografico (magari una delle autrici ha pensato di uccidere il suo capo sfondandogli il cranio), quanto di intime fantasie e quanto desiderio di liberarsene. C’è solo da leggere e immaginare.
Non tutti i racconti sono riusciti, questo va detto, ma lo è l’esperimento. E allora non resta che sperare che SH4 voglia provarci ancora.
Recensione a cura di Lina Senserini, docente e giornalista professionista