Finalmente lo scrittore Paolo Ciampi a Letteratura e…dintorni!!
Ho la fortuna di conoscere Paolo Ciampi, personaggio riservato, che oltre a giornalista professionista, è uno straordinario e prolifico scrittore toscano che ormai, da tempo, ha superato i confini regionali affermandosi a livello nazionale.
Ciò che colpisce nei sui romanzi sono la delicatezza, la sensibilità e il pudore con i quali si accosta alle vicende che raccontano, per lo più, di personaggi nascosti fra le pieghe della storia.
Ecco, la memoria e l’identità, la ricerca della radici e la voglia di non far cadere nell’oblio tante vite, sono il filo conduttore di quasi tutte le sue opere.
“Una famiglia” e “Un nome” (editi dalla Giuntina) giusto per fare qualche esempio, sullo sfondo della persecuzione razziale ad opera dei nazisti riportano a galla storie personali o familiari sepolte dalla polvere del tempo.
“Beatrice. Il canto dell’Appennino che conquistò la capitale” racconta invece l’incredibile esistenza di una poetessa analfabeta che riuscì a conquistare i salotti di Firenze allora capitale.
E così i suoi racconti si muovono sul filo della memoria, in un presente che affonda le sue radici nel passato, la conoscenza del quale è necessaria per muovere verso il futuro.
Ma leggendo le pagine di Paolo Ciampi è impossibile non accorgersi anche dell’importanza che nella sua vita rivestono i viaggi. E non poteva essere diversamente…
Lo scoprire e il ricercare sono per lui aria nei polmoni. La sua sete di conoscenza traspare in tutto ciò che scrive e molte delle sue avventure in giro per il mondo sono poi diventati splendidi romanzi come “Le nuvole del Baltico. In bicicletta con mio figlio cercando il Nord” (edito da Mauro Pagliai Editore).
Mi fermo qui e solo per motivi di spazio. Di Paolo Ciampi e delle sue incredibili storie ci sarebbe davvero ancora troppo da dire…
Che cosa significa per te essere scrittore?
Paolo Ciampi su TV9 intervistato da Dianora Tinti e Francesca Ciardiello a Quantestorievuoi
Non ci ho mai pensato molto, anche perché non mi piace un granché definirmi scrittore. O meglio, provo per questa definizione la stessa allergia che provo per tutte le definizioni. Semplicemente scrivo, scrivo molto, mi piace scrivere. E consiglio a tutti di fare lo stesso, perchè fa bene. Non importa che prima o poi si sia pubblicati. Certo questa è una bella soddisfazione, però soprattutto dopo qualche libro ci si rende conto che non è il tuo nome e cognome su una copertina che conta. Scrivere aiuta a dare profondità alla propria vita e a darle un senso.
Come e’ nato il tuo primo romanzo?
Se si esclude un noir – titolo Di diverso parere – peraltro con non pochi agganci al mondo della mia professione di giornalista, ho sempre attinto alla realtà per ciò che racconto. Sono affamato di storie autentiche e convinto che quasi sempre la realtà possa andare ben oltre le nostre stesse capacità di immaginazione. E può sembrare un po’ spocchioso dirlo, ma alla fine sono le storie stesse a bussare alla tua porta e a pretendere attenzione. Poi, certo, dipende da te. Ma si parte da un incontro fortuito, a volte banale. Da una curiosità che forse si vorrà soddisfare, o forse no. Succede così con le persone, che magari ci vengono presentate a una cena. Con me è successo certamente con il primo libro, Gli occhi di Salgari: un lavoro, nato da una sorta di visione su una panchina di una città del Borneo, che mi ha portato molta fortuna, grazie anche al premio Castiglioncello. Con il secondo, Il poeta e i pirati, nato da una nota a piè di pagina di un vecchio libro di viaggi. Oppure con il terzo libro, Un nome, la straordinaria e dolorosa storia di una scienziata ebrea perseguitata sotto il fascismo, che forse debbo ad alcune vecchie collezioni di coleotteri.
Ogni scrittore ha una sua ritualità nello scrivere, qual’è quella di Paolo Ciampi?
Non ho riti particolari, anche perché sono debitore al mio lavoro di giornalista, che impone di scrivere in tempi molto rapidi e nelle più varie circostanze. Se sono a casa una colonna sonora è indispensabile e la musica scelta ha spesso qualche corrispondenza, per lo meno emotiva, con la mia pagina: non a caso in diversi miei libri proliferano le citazioni musicali, che sono anche buoni consigli per l’ascolto. In viaggio amo i momenti di pausa e raccoglimento al tavolino di un bar o di un caffè, che sono anche i momenti di una solitudine che non fa male. E se di rito bisogna parlare, penso a una birra che accompagni la scrittura in un locale, oppure a una buona tisana a casa.
Potresti descrivere il percorso della tua pubblicazione? Quali sono stati i momenti salienti e le complicazioni sulla strada?
Non scrivo mai pensando al libro che un giorno potrà essere pubblicato. Dopo che una storia ha bussato alla mia porta sta a me decidere. E se decido mi ci butto dentro. Apro un file sul mio computer e giorno dopo giorno vi accumulo idee, brani, citazioni. Solo in una seconda fase provo a strutturare una narrazione coerente. E poi hanno ragione coloro che affermano che scrivere è in realtà riscrivere. Bisogna avere la pazienza, e anche l’umiltà, di ammettere che alla prima stesura il nostro lavoro è davvero lontano dalla conclusione. Scrivere, riscrivere, ma anche attendere. Mettere via ciò che abbiamo scritto e lasciarlo riposare come si fa con i vini e i formaggi. Se possibile, dimenticarsene. E poi riprenderlo, dopo qualche tempo. Un modo infallibile per far emergere tutti i difetti. E solo dopo questo periodo – chiamiamolo di stagionatura – il manoscritto è pronto per essere sottoposto all’attenzione di un editore. Sono convinto che per l’editoria – in particolare per l’editoria che solo considero tale, quella non a pagamento – sono tempi difficili. Ma che un buon lavoro alla fine possa trovare ancora il suo editore.
Il complimento più bello che hai ricevuto dai lettori?
Con la mia scrittura accendo un cono di luce su uomini e donne dimenticate, a volte, anche se non necessariamente, travolte dalle tragedie della storia. Ogni vita in realtà meriterebbe un suo libro e ciò è ovviamente impossibile, ma mi sento responsabile delle vite che ho scelto di raccontare. Quando qualche lettore, attraverso le mie pagine, mi dice di aver sentito viva una di quelle persone, mi apre il cuore e mi conferma, ancora una volta, di quali miracoli sia capace la scrittura. Per i miei libri di viaggio – penso a I due viaggiatori o a Le nuvole del Baltico – queste sono le parole più belle: mi è sembrato di viaggiare anche a me. E questo è un altro miracolo dei libri, la possibiltà di portarti lontano anche rimanendo in una stanza. Non a caso il mio sito si chiama ilibrisonoviaggi. clicca qui
Tre motivi per leggere i tuoi libri…
Lo lascio decidere a chi vorrà leggerli. A me sembra sempre così incredibile che in questi tempi così difficili per il libro in Italia ci sia qualcuno che entri in una libreria e acquisti un libro e poi investa del suo tempo per leggerlo. Lo trovo uno straordinario investimento in buona vita, che farà bene non solo a lui ma a tutti coloro che lo circondano. E in fondo anche al nostro paese, che secondo me vive peggio la crisi, e con minori prospettive, anche per i suoi deficit culturali. Ma detto questo, se quel qualcuno poi acquista e legge un mio libro, l’incredulità cresce a dismisura…
I tuoi romanzi, regali perfetti per…?
Non so se perfetti, ma se dovessi essere l’imbonitore di me stesso, cosa di cui non sono assolutamente capace, direi per persone attratte da vite di altre persone nascoste nelle pieghe della Storia, non generali o statisti ma vite quali le loro; per persone disposte a credere che con un libro si può andare lontani, nel tempo e nello spazio; per persone semplicemente curiose.
Come narratore, provi mai il desiderio di liberarti dai personaggi che crei?
No, il contrario provo il desiderio di tenermeli accanto a me. E’ il libro che, una volta pubblicato, non è più tuo, è nave che è salpata e che appartiene a tutti coloro che, eventualmente, vorranno leggerlo. I personaggi, no. Li hai scelti e hai voglia che continuino a farti compagnia. O almeno di saperli vivi, come può succedere per un parente che vive in un’altra città. Ad alcune persone di cui ho raccontato la storia – per esempio Enrica Calabresi di Un nome o Jessie White di Miss Uragano – penso ancora molto. E do loro del tu. E’ Enrica. E’ Jessie.
Da adolescente leggevi? E, se sì, cosa?
Leggevo moltissimo, non riesco a pensare la mia adolescenza senza un libro sotto gli occhi. Già da ragazzino ho vissuto molte vite semplicemente leggendo. Le avventure di Salgari e i romanzi dei grandi russi, i gialli di Ellery Queen e Rex Stout, i primi sudamericani che mi hanno portato in luoghi di verità e magia…. Sono stato felice leggendo e oggi mi sento più forte e migliore grazie a quelle ore nei pomeriggi d’inverno o nelle lunghe sere d’estate. Vorrei che oggi ogni ragazzo fosse messo in condizione di vivere quelle stesse emozioni. Magari sacrificando un po’ del tempo che dedica al tablet o all’i-phone.
Il libro e l’autore della tua vita?
Non lo so, non riesco mai a rispondere a questa domanda. Come a quell’altra: se dovesssi portarti dieci libri su un’isola deserta, quali sceglieresti? Avrei bisogno di un’arca di Noè, per portare tutto con me. Scivolo con lo sguardo sulla mia libreria e mi viene in mente che non è quel singolo libro, ma la libreria che conta. Libri belli e brutti, libri che mi hanno conquistato e libri che ho fatto fatica a finire e che magari ho interrotto a metà. Tutti contano. Tutti fanno parte del coro che sta accompagnando la mia vita.
Il libro che hai sul comodino?
“Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno”, una sorta di dizionario di romanzi e scrittori, curato da Ella Berthould e Susan Elderkin, un libro che è una gioia sapere a portata di mano. Esprime una mia convinzione: che non c’è dolore della vita che non possa trovare conforto in una lettura appropriata. Per questo rimarrà lungo sul mio comodino.
E quello che avresti voluto scrivere?
Mi viene in mente Limonov di Emmanuel Carrère, oppure Open di Agassi, due storie di vita che si sono fatte libro, ma poi ci ragiono su e dico che ognuno ha le sue storie. E io mi tengo le mie.
Progetti futuri?
In primavera uscirà per Mursia un mio nuovo libro che racconta di un viaggio a piedi lungo il Vallo di Adriano, l’estremo confine dell’impero romano, un viaggio che ho fatto meditando su ciò che significa, per ognuno di noi, l’idea di confine e l’idea di barbaro. Mi sono fatto accompagnare dalla rilettura di un libro per me fondamentale, le Memorie di Adriano della Yourcenar. Più tardi, e in occasione del centenario della Grande Guerra, uscirà un libro su un ragazzo che in trincea combatté e morì. Un ragazzo poco più grande di mio figlio e che credo possa dire ancora molto ai ragazzi di oggi.
Un consiglio a chi vuole seguire le orme di Paolo Ciampi…
Leggere e ancora leggere. Lasciare che la parola scritta ci incanti. Senza ambizioni e senza secondi fini. Solo così crescerà davvero la nostra possibilità di condividerla.