‘Le ultime ceneri dell’Avana’ di Alessandro Zarlatti
Le ultime ceneri dell’Avana
di Alessandro Zarlatti
Edizioni Il Foglio, 2024
Chi è Alessandro Zarlatti
Nato a Roma nel 1967, ha studiato filosofia e negli anni ha collaborato con diverse testate giornalistiche. Per molti anni ha vissuto all’Avana insegnando lingua italiana e scrivendo racconti e romanzi: Alcune strade per Cuba(Ouverture edizioni 2014) – Il salto(Ouverture edizioni 2015) – Quattro parti di lui (Ouverture edizioni 2018) – Destino Cuba edizione cubana (Editora Abril 2019) – Meditazione a 4 zampe (Writeup edizioni 2020) – Destino Cuba edizione italiana (Ouverture edizioni 2021).
Attualmente vive in Italia, in provincia di Viterbo, è presidente dell’Associazione dell’idioma italiano per ispanofoni e insegna lingua italiana. Questa è la sua settima pubblicazione.
Di cosa parla il libro
Siamo nel 2020, l’anno della Pandemia, all’Avana. Il protagonista, come in un diario, racconta con coraggiio una città decadente e agonizzante. Un monologo interiore, una ricerca spasmodica per mettere ordine, anche se provvisorio, alle cose che accadono e a quelle che non accadono più. Un Paese e un uomo che hanno perso tutti i punti di riferimento. Rimangono soltanto le parole per non smettere di raccontarsi e quindi di esistere.
Cosa ne penso
Alessandro Zarlatti torna, forse per l’ultima volta, a dialogare con la sua Cuba, con le sue strade senza uscita, con le sue persone, con le sue maschere, con i suoi ricordi. Questa volta lo fa attraverso una raccolta di racconti che sembrano uscire dall’occhio di un ciclone buio e persistente che si abbatte su un paese senza più risposte. Una cronaca, quasi un diario, di un tempo disfatto e terrificante dove diventa impossibile raccontare il presente se non attraverso le lenti deformanti di un monologo interiore. Raccontare ciò che accade fuori, raccontando ciò che accade dentro, in una continua rimonta tra la tragedia privata e quella collettiva che s’impone, quest’ultima, in crescendo, privando ognuno del diritto di cadere in dolori più intimi e smarrirsi.
“Scrivere Le ultime ceneri dell’Avana è stata una specie di elaborazione di un lutto indeterminato – ha spiegato l’autore. Tutti sappiamo che la stagione della pandemia è stata una stagione di perdita, per alcuni è stata la perdita degli affetti in modo tragico e improvviso, ma più in generale è stata la perdita collettiva ed individuale di qualcosa a cui non riusciamo a dare un nome. Questo è un libro sulla perdita irreparabile della giovinezza, dell’amore, della felicità, dell’innocenza e anche della vita.
Inevitabilmente è stata una stesura difficile, tortuosa, dolorosa. La struttura diaristica mi ha obbligato a una ispezione quasi quotidiana nel malessere personale e collettivo di quell’anno. Non mi sono dato un canovaccio su cui elaborare un racconto ma ho scelto sin dall’inizio l’idea del mare aperto e dei venti che di volta in volta muovevano la mia scrittura.
Mi è piaciuta l’idea di isolare per ogni capitolo una manciata di parole chiave che dessero una mappa provvisoria e il titolo a quelle mie riflessioni. Poi il prologo e la conclusione sono stati scritti per ultimi con l’intento di dare latitudine e longitudine a un lettore che volesse trovare quanto di più simile a un punto fermo nella ‘tempesta imperfetta’ della mia narrazione”.
Sono lontani, a una distanza incolmabile, i tempi e gli scenari delle prime raccolte di Alessandro Zarlatti, lontane e non più percorribili Alcune strade per Cuba che raccontavano un paese pieno di speranze diventate ben presto illusioni, lontani perfino gli echi malinconici e i residui di sogno di Destino Cuba. Appaiono quelli dei libri scritti secoli fa, improvvisamente inattuali. Con questo libro sembra approdare tutto, scenari, uomini, sogni, speranze, amori, nelle latitudini agitate della poesia. È quello che resta. L’unico bagliore di divinità che ancora ci abita. L’unico gioiello da portare in salvo dalla casa che va in fiamme.
E il libro racconta di un incendio che raggiunge dimensioni e paesi che sono ben più vasti dei confini di una città. La pandemia come una tragedia collettiva che ha avvelenato e messo in crisi gli uomini nei luoghi più riparati della propria individualità. Resta la narrazione cruda di un paese e di un uomo che hanno perso tutte le coordinate e a cui sono rimaste solo le parole per non smettere di raccontarsi e, quindi, di esistere. Le ultime ceneri dell’Avana parla di Cuba come potrebbe parlare di ogni parte del mondo perchè si interroga con ferocia, proprio quando sembrano cadere tutte le risposte, sul senso della nostra presenza e sul senso dei nostri amori.
Recensione a cura di Francesca Ghezzani, addetta stampa e giornalista