“Fragile maneggiare con cura” di Ester Cecere
Ester Cecere mi ha contatta tramite il blog e inviato le sue opere.
Parlare di ciò che scrive e delle immagini che i suoi versi evocano è stato per me non soltanto un piacere “letterario” ma anche un diletto per l’anima. Le sue parole trascinano in un labirinto di limpide suggestioni che ci conducono in un intreccio di emozioni che fluiscono in maniera ritmica e quasi musicale.
Nei versi sapientemente costruiti si intravedono onnivore letture d’autore che ci trasmettono qualcosa di universale e condivisibile, senza però mai intaccare l’originalità di un mondo tutto suo e personale.
Ma prima di andare avanti, scopriamo chi è questa talentuosa poetessa…
E’ nata nel 1958 a Taranto dove vive e lavora come ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche occupandosi di biologia marina. E’ sposata e ha due figli.
Ha due grandi passioni: la scrittura e il mare.
Da bambina scriveva favole che il nonno materno rilegava amorevolmente. All’età di quattordici anni ha iniziato a comporre poesie e non ha più smesso. La scrittura, infatti, è una sua esigenza innata di cui non può fare a meno.La sua prima pubblicazione ha visto la luce piuttosto tardi, quando l’autrice aveva 52 anni. Ester, infatti, era gelosa delle sue poesie che solo pochissime persone avevano letto e pensava di tenerle solo per sé. Con la maturità ha compreso l’importanza della condivisione e della poesia come forma di denuncia. Ha quindi deciso di pubblicare la sua prima silloge poetica che raccoglie le poesie scritte sin da quando era una ragazzina.
Anche il mare fa parte della sua vita sin da quando aveva pochi mesi di vita. Ester vive sul mare, lavora con il mare e per il mare, essendo una biologa marina. Il mare è per lei fonte di svago e d’ispirazione poetica.
Scherzando, ama dire: “Il mare è il mio liquido amniotico” oppure “Nelle mie vene scorre acqua di mare non sangue” o ancora “Quando penso al mare, penso ad un innamorato”.
E il mare ricorre spesso nelle sue poesie come espressione del suo sentire.
Non è cosa che faccio sempre, ma questa volta ho voluto far commentare l’opera di Ester Cecere anche da due illustri scrittori e professori toscani, Giuseppe Dal Canto e Franco Donatini. Sentiamo cosa ne pensano.
COSA NE PENSANO DUE ILLUSTRI PROFESSORI, CRITICI E SCRITTORI…
Un’attenta e sorvegliata cura della parola nelle sue capacità suggestive ed evocative che si fa ora sapiente virtuosismo, ora slancio generoso e vitale, ora delicata testimonianza e ripiegamento interiore. Una versificazione abile e consumata, con limpide immagini di cose, paesaggi, particolari, sentimenti. La musicalità dei suoi versi prende per mano il lettore e lo accompagna tra pensieri, sogni, rimpianti, volontà di andare avanti “nonostante”; è il mondo dell’autrice, un mondo in cui la speranza riesce a vincere sulla malinconia; ma se il mondo di un poeta è in qualche modo specchio di un mondo più vasto, possiamo riconoscervi anche il nostro.
(Giuseppe Dal Canto – scrittore e professore lettere di Altopascio)
Poesia ermetica quella di Ester Cerere, nel senso più compiuto del termine ed è per questo molto appropriata la citazione all’inizio del testo del verso di Ungaretti. Pochi tratti per trasferire l’angoscia che si cela nel profondo, la fragilità della propria personalità di fronte ai drammi vissuti e più spesso percepiti con disarmante impotenza.
E non basta il titolo della silloge smorzare, con un’amara e allo stesso tempo geniale ironia, il pessimismo che pervade le liriche. Un pessimismo cosmico, in cui la natura e i suoi elementi accompagnano in un ritmo sempre più incalzante il travaglio interiore. In uno stile ellittico e complesso, ricco di assonanze che accentuano l’angoscia dell’autrice, gli elementi della natura perdono la loro concreta valenza per divenire espressioni metaforiche ed evocative della condizione umana. Il cuore associato al “fico d’india”, evoca con le spine la sofferenza dell’essere, l’animo angosciato sprofonda nel dolore come “cadendo frantumata s’è la luna”, tormenti interiori come “vetri infranti e schegge … aguzzi come rasoi taglienti”.
Nemmeno il ricordo riesce, se non a far superare, almeno a sopire la disperazione del presente, il ricordo, che nella poesia spesso rappresenta il rifugio. Qui il rimembrare non fa che acuire il vuoto terribile del presente contrapposto al “ricordo di passate stagioni verde brillante”
La natura matrigna contribuisce ad accentuare questa angoscia esistenziale, dove tutto sembra accanirsi, come il vento “In questo silenzio che smisura è ululato di vento anche il respiro”, come “sussurri e bisbigli, stormire di fronde” divengono “boati di tuono”, come le formiche che, trasportando il loro carico, evocano il portare sulle spalle il pesante bagaglio della propria sofferenza.
Non si profila all’orizzonte nessuna possibilità di superamento del dramma, in uno stato di permanente e indifferente staticità, come il bruco, metafora efficacie di questa condizione di impotenza: “Bruco eri Bruco sei Bruco rimarrai. Per te nessuna metamorfosi”
Solo la speranza, cercata in un ultimo sussulto, consente di reagire per continuare a vivere. La speranza che mitiga il dramma, lascia aperte vie di uscita nelle ultime liriche, quasi in contraddizione col pessimismo delle precedenti. Ma in effetti questa contraddizione non esiste, è solo l’illusione che infonde almeno per un momento la forza di proseguire il cammino dell’esistenza: “Da crisalide in farfalla mi trasformerò per volare almeno un giorno”, per riconciliarsi infine nell’ultimo verso col mistero della vita e della morte: “Alla stazione forse, un abbraccio di fine corsa”
(Franco Donatini – scrittore e docente Università di Pisa)
Alcune brevi poesie tratte dall’ultima raccolta “Maneggiare con cura” di Ester Cecere:
Schegge e cocci
Vetri infranti e schegge
custodisco,
d’ogni colore
d’ogni dimensione
aguzzi
e come rasoi taglienti.
Di cocci
è disseminata la mia strada.
A piedi nudi
la percorro.
Custodirò un giorno
briciole d’amore?
Camminerò mai
su calda sabbia?
Alba nuova
… E questo sole
che sta per morire
eppure scalda e abbaglia,
che in un mare rosso sangue
annega
eppure certo confida
in un’alba nuova.
Incerta
la mia alba.
Nel mare rosso sangue
annaspo.