IL NOIR CHE ‘FA MALE’ DI ALESSANDRO BASTASI
Un’altra interessante intervista di Dario Villasanta… L’autore di Città contro e La gabbia criminale ci parla del suo ultimo lavoro e della sua visione della società.
Di Alessandro Bastasi si potrebbe, o dovrebbe, dire tanto, perché non basta una sola definizione a ridurre le sue molteplici esperienze e sfaccettature: un attore di teatro datosi al Noir, un informatico con un irresistibile impulso letterario o un viaggiatore che crea romanzi dalle sue esperienze diverse?
Trevigiano trasferitosi a Milano, con una parentesi in URSS tanto tempo fa, Alessandro Bastasi ha toccato le corde di molti di noi con Era la Milano da bere- morte civile di un manager (Fratelli Frilli Editori 2016) Noir che denuncia gli effetti ai giorni nostri della Milano degli anni ’80, quella che fu insieme mito e decadenza morale.
Alessandro, non sei l’unico autore con forte coscienza civica e sociale che ha scelto il Giallo/Noir per mettere in luce i lati oscuri della nostra società e, perché no, anche della coscienza umana. L’hai fatto perché credi che così i lettori si pongano più facilmente qualche domanda sul nostro presente e futuro o è una scelta di altro tipo?
Sì, ritengo che il noir sia uno dei più efficaci strumenti narrativi per raccontare il lato nero della nostra società e dell’animo umano. Nei miei romanzi non do soluzioni, racconto storie scavando nei personaggi e nelle motivazioni dei loro comportamenti e calandoli in un territorio ben preciso. L’obiettivo è far star male il lettore e spingerlo quindi a farsi delle domande.
In Era la Milano da bere tocchi le corde, dolenti e nostalgiche insieme, della nostra evoluzione sociale e umana. I personaggi e la vicenda narrati avranno un seguito?
Non sono un autore da romanzi seriali, ogni mia storia è fine a se stessa. Di “seriale”, se vuoi, c’è l’ambiente (sociale, politico, umano) in cui si muovono il personaggi, ogni romanzo cerca di raccontarlo da diversi punti di vista.
Ultimo gesto di tortura con una domanda scomoda sul mondo femminile. Che immagine intendevi dare di Cristina, e della donna in genere, in quel romanzo (erano anni delicati da interpretare per le donne che volevano affermarsi nel lavoro) e pensi che la condizione femminile, da allora, sia davvero migliorata oppure no?
In realtà è Anna, la moglie di Massimo Gerosa (il manager del sottotitolo che perde il lavoro) a essere cresciuta nella “Milano da bere”, assumendone acriticamente tutti i “valori” (ricchezza, successo personale, arrivismo, individualismo e potrei continuare per ore).
Lei sposa Massimo e lo accompagna nella sua scalata verso uno status sociale che li veda ricchi e famosi. Quando lui perde il lavoro, Anna a quello status non rinuncia, e per mantenerlo si adeguerà al cliché femminile più bieco, quello imposto dai potenti.
Cristina, la figlia, è invece una ventenne smarrita tra le macerie create proprio dal fallimento della “Milano da bere”, che cerca faticosamente di trovare un percorso di vita in un mondo nel quale per i giovani sembra che non ci sia futuro.