Da piccola ero down di Isabella Piersanti
Lella Sansone, la scrittrice siciliana nostra preziosa collaboratrice, questa volta ha letto e recensito per noi il romanzo Da piccola ero Down di Isabella Piersanti. Sentiamo cosa ne pensa…
CHI E’ ISABELLA PIERSANTI
Isabella Piersanti è nata a Milano nel 1964. Dopo la laurea in Lettere ha conseguito un Dottorato di ricerca in Storia Sociale e Religiosa; dal 1993 ha insegnato Filosofia e Storia in diversi Licei a Firenze e a Roma, da diversi anni insegna al Liceo Scientifico Morgagni di Roma. È socia dell’Associazione Italiana Persone Down. Sposata, ha due figlie.
DI COSA PARLA
Giulia è la secondogenita di una donna che aveva desiderato a lungo di rivivere la maternità. Alla nascita scopre che la bambina è affetta dalla sindrome di Down e di conseguenza da quel momento la sua vita non sarà più la stessa. E non solo la sua, ma anche quella di tutta la famiglia.
Quand’anche non volesse pensare al dramma che si è abbattuto su di lei, ci sono gli altri che con il loro atteggiamento e i loro discorsi acutizzano una ferita difficilmente richiudibile.
Giulia, dolcissima bambina dagli occhi a mandorla, sconvolge la dinamica familiare e cresce tra mille difficoltà che riesce a superare grazie all’aiuto di chi la vuole bene. E crescendo Giulia prende coscienza di sé e della propria diversità che, comunque, non le impedisce di formarsi una propria identità.
COSA NE PENSO
Mi sono tuffata nella lettura di questo volume con la consapevolezza di poter affrontare l’argomento con la necessaria attenzione che merita. L’esperienza lavorativa di circa 23 anni in ambito riabilitativo e l’attuale professione di insegnante mi hanno permesso di entrare subito in sintonia con l’autrice che ad un certo punto della sua vita ha deciso di raccontare la storia di sua figlia, storia che riflette quella di tante altre persone coinvolte direttamente o indirettamente con la disabilità.
Avere a che fare con la diversità non è affatto facile. Molte persone non sono preparate ad affrontare con la necessaria forza d’animo e con coraggio la disabilità di un congiunto. Spesso, in presenza di un famigliare disabile, ancor più se si tratta di un figlio, i rapporti tra congiunti si usurano, gli equilibri saltano, lo scoraggiamento obnubila le menti, l’incertezza rende il futuro poco appetibile. E tutto questo va ad aggravare il già pesante fardello che un genitore si porta dentro.
Molti non reggono il colpo e presi dallo scoraggiamento finiscono con il gettare la spugna e con l’abbandonare il disabile al suo destino, come se questo comportamento potesse risolvere il problema di fondo.
Indiscutibilmente la presenza di un portatore di handicap in famiglia ha delle ripercussioni profonde su tutti i componenti, ma ciò non significa che con pazienza e determinazione non si possa ristabilire l’ordine e ricostruire l’equilibrio spezzato. Lasciarsi prendere dallo sconforto, dalla paura o dall’egoismo non aiuta a superare il problema, piuttosto questo viene moltiplicato a dismisura complicando ulteriormente la strada da percorrere.
Di fatto, non è la disabilità in se stessa ad essere negativa, ma la connotazione che viene attribuita ad essa. Eppure non esiste un limite di demarcazione netto tra ciò che viene definito normale e ciò che non lo è. Questo limite è soggettivo e può essere spostato più o meno in avanti da chi lo vive. La storia di Giulia ne è la testimonianza diretta. Lo stesso titolo DA PICCOLA ERO DOWN sottolinea il fatto che la diversità non proviene dall’handicap in se stesso, ma dalla percezione che gli altri hanno dell’handicap e dal modo in cui si affrontano le situazioni di questo genere.
Si può nascere disabili e rimanere tali per tutta la vita, oppure si può nascere disabili e avviare un processo di crescita, non solo del disabile, ma di chi vive intorno a lui, che è necessario per riequilibrare il sistema. Questa differenza è di fondamentale importanza perché determina la qualità della vita della famiglia interessata. La storia di Giulia ci insegna che è possibile vivere la diversità in modo positivo, che pur in presenza di mille difficoltà la famiglia non è sola nell’affrontare il problema. Anche la collettività contribuisce concretamente ad accompagnare il disabile nel suo percorso di crescita. Si pensi alle strutture sanitarie, alla scuola, alle associazioni di diverso tipo, agli enti che contribuiscono all’integrazione sociale del disabile. Tutti enti impegnati ad innalzare la qualità della vita.
L’autrice, con la sua testimonianza, induce nel lettore una riflessione profonda: nelle situazioni più disperate c’è sempre la possibilità di crescere come persone, di fortificarsi e di scoprire quanto meravigliosa è la vita di ogni essere umano al mondo, con o senza handicap.
Perché ognuno di noi è un essere unico capace di provare emozioni, di amare in maniera incondizionata e di scoprire che l’amore, quello vero supera i limiti della fisicità e si arricchisce di sfumature che solo le persone più sensibili sono capaci di cogliere.
Lineare e discorsivo nella sua composizione il testo si legge con facilità. Il linguaggio è semplice e diretto e questo aiuta il lettore ad immedesimarsi nella storia e a comprenderne l’essenza.