Enrico Pandiani ci parla di Un giorno di festa
Enrico Pandiani nasce nella capitale sabauda ed esordisce come scrittore nel 2009 dando alle stampe Les Italiens, primo romanzo dell’omonima serie poliziesca che si completerà con Troppo piombo, Lezioni di tenebra, Pessime scuse per un massacro, Una pistola come la tua e Un giorno di festa (Rizzoli, 2017): un romanzo incalzante, divertente, pieno di colpi di scena, con una trama che sembra uscire da un romanzo inedito di Georges Simenon.
Un ringraziamento specialissimo a Fausto Bailo che l’ha intervistato per noi e alla Premiata Libreria Marconi di Bra (Cn) che, come sempre, ha collaborato fattivamente.
Nel periodo formativo quali sono stati i suoi scrittori di riferimento?
“Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia nella quale i libri sono sempre stati presenti e così ho cominciato a leggere molto presto.
Ho un vago ricordo di me alla Montessori mentre ridevo assieme a un compagno per alcune illustrazioni di Caterina e altre storie, di Elsa Morante. Poi c’è stato Salgari,I ragazzi della via Pal, L’Isola del tesoro e, in seguito, Il giovane Holden, Il lamento di Portnoy, ma anche autori come Raymond Chandler e Dashiell Hammett. Forse il primo romanzo veramente importante è stato Lo straniero di Camus al quale sono tutt’ora legato da un sentimento particolare.
Ma anche le avventure del commissario Sanantonio hanno fatto la loro parte nella mia formazione. Per lo meno, mi hanno fatto capire l’importanza dell’ironia e dell’umorismo”.
Quando è nata nella sua fantasia la squadra Les Italiens?
“Ho passato gli ultimi trentacinque anni scrivendo nei momenti liberi. Raccontare storie è sempre stata una mia passione. Lo facevo senza pensare a una pubblicazione, per me era un grande divertimento e soddisfava alla perfezione il mio bisogno infantile di evasione.
Quando il mio vero lavoro è diventato noioso e ripetitivo, privo di gratificazioni, la scrittura si è fatta strada sgomitando. È successo nel 2006. Da un pezzo avevo in mente la sequenza iniziale de Les italiens e ho cominciato a lavorarci sopra. Nel giro di otto mesi avevo finito il mio primo romanzo e la mia squadra era diventata una realtà. Poi è venuta la pubblicazione e tutto il resto”.
Cosa l’ha spinta ad ambientare i suoi romanzi della serie Les Italiens a Parigi anzichè nella sua Torino?
“L’idea di spostare l’azione a Parigi è stata quasi una scelta obbligata. Mentre scrivevo la trama del primo romanzo Les italiens, che nelle mie intenzioni si sarebbe dovuta svolgere nella mia città, mi sono reso conto che Torino non poteva funzionare.
Per giustificare ciò che succede nel romanzo serviva una capitale dove ci fosse una politica di governo. Ho sempre voluto abitare a Parigi e non ci sono mai riuscito, così ho deciso di farci vivere i miei personaggi. Siccome conosco la Francia, ma molto meno i francesi, ho pensato a una squadra di poliziotti di origine italiana. E sono nati i ragazzi di Mordenti”.
Quale è stata la scintilla che l’ha portata a realizzare la trama del suo ultimo libro?
“La sera della strage al Bataclan mi trovavo a Parigi e quando la notizia è arrivata in televisione è stata una doccia fredda. Si sentivano le ambulanze e credo che fossimo tutti sconvolti. Il giorno dopo ero seduto con una persona fuori dal caffè dove erano morte le prime sei persone, tra vetrate forate dai proiettili, sigilli della polizia e transenne cariche di fiori e foto delle vittime.
Allora ho cominciato a farmi delle domande, tipo a chi potesse fare gioco tutto ciò, questa assurdità che ci costringe a vivere nella paura e a rinunciare a molte delle nostre libertà. Per entrare in un negozio di media grandezza, oggi dobbiamo sottoporci a controlli una volta impensabili, per non parlare dei musei o dei luoghi pubblici, il cui ingresso non è molto diverso da quello in aeroporto. Qualcuno tutta questa tensione la cavalca, sfrutta la nostra paura e in qualche modo ne beneficia. Su questi ragionamenti è nato Un giorno di festa, una sorta di metafora che, secondo me, non è molto lontana da una possibile realtà”.
Per realizzare il personaggio del commissario Mordenti si è inspirato ad altri personaggi della letteratura europea?
“Direi di no. Mordenti è nato soprattutto dal linguaggio con cui racconta in prima persona le sue storie. Credo che piaccia soprattutto per la sua complessità come individuo, per il suo modo di fare e per il legame che riesce a creare con le persone che incontra.
La sua visione del mondo, naturalmente, coincide con la mia, anche se in qualche maniera mi sono spalmato su tutta la squadra. Però con lui ho un legame speciale, fatto di passione, ironia, disincanto e una buona parte di cialtronaggine.
Perché anche io sono un po’ cialtrone e questo ci rende in qualche modo simili. È un personaggio che ho in testa per la maggior parte del tempo, insieme al quale sto facendo un percorso che potrebbe portarci a spiegare parecchie cose. Di lui, certo, ma anche di me”.
Quale potrebbe essere la colonna sonora del suo libro?
“Io ho sempre pensato che qualsiasi storia dovrebbe avere una colonna sonora. Spesso, a ispirarmi scene e sensazioni, è una musica che sto ascoltando e che mi spinge in una certa direzione. Il mio spettro musicale è ampissimo, va dalla musica barocca a quella etnica, dalla canzone francese al rock degli anni ’70.
In questi anni però ho potuto conoscere e apprezzare anche moltissimi musicisti contemporanei, alcuni dei quali sono diventati una presenza costante nei miei libri. Mi vengono in mente Amee Mann, Mark Lanegan, Patty Griffin, i Morphine e i Firewater.
Sono state le Leçons de Ténèbres, di Couperin, del XII secolo a dare il titolo al mio terzo romanzo e una canzone di Leonard Choen, cantata da Madeleine Peyroux, a ispirare la storia del quarto. Ma pure George Brassens è onnipresente e molto amato dai miei personaggi. Tutto questo alimenta anche i ricordi. Mi piace sentire una musica o una canzone e ricordare un brano di romanzo che stavo scrivendo mentre le ascoltavo”.