“AZ 1358 – Racconti” di Adriana Aromolo

“AZ 1358 – Racconti” di Adriana Aromolo

Chi è Adriana Aromolo

Adriana Aromolo nasce a Gorizia. Si laurea in Lettere classiche all’Università di Trieste. Dal 1978 vive a Roma, dove ha insegnato materie letterarie nelle scuole secondarie inferiori.

 

Ha collaborato all’ufficio stampa e alla redazione della rivista Enaip Formazione&lavoro, curandone l’editing. Assieme al marito e alla figlia ha fondato a Magliano in Toscana, in Maremma, l’associazione culturale Arti in corso, con l’obiettivo di promuovere l’arte contemporanea e la letteratura. Gestisce personalmente la galleria d’arte collegata all’associazione. Ha pubblicato articoli sulla pagina della cultura del Piccolo di Trieste. Pubblica sul Tirreno e sui giornali locali on line comunicati stampa di eventi e mostre.

 

Qualche anno fa, ha creato, per Arti in corso, “I the letterari”, modalità informale per presentare libri e autori. Collabora con la Fondazione Grosseto Cultura all’organizzazione di eventi culturali.

 

Alcuni suoi racconti, finalisti in concorsi banditi dalle Edizioni LeAli, sono stati pubblicati in volumi collettivi.

 

A Roma ha seguito un corso di scrittura narrativa e di lettura critica tenuto dalla scrittrice Valeria Viganò e ha partecipato a diversi laboratori di scrittura creativa organizzati dalla scrittrice e docente di metodologie autobiografiche Francesca Crisi.

 

Recentemente un suo racconto è entrato a far parte della raccolta noir Luce nera.

AZ 1358: cosa ne penso

Premetto che sono ormai molti anni che conosco l’autrice e fin da subito c’è stata fra noi una forte empatia. Ho avuto modo, nel tempo, di conoscere la sua profondità di spirito e la capacità di scandagliare l’animo umano.

Me la sono sentita subito vicina, insomma. Pensavo quindi di conoscerla abbastanza bene, ma devo dire che leggendo questi racconti, mi sono accorta che la sua capacità di affrontare problematiche umane anche complesse è superiore a ciò che immaginavo.

Questa raccolta contiene storie senza tempo che offrono validi spunti di pensiero, di profonda riflessione su molti degli interrogativi che da sempre accompagnano l’esistenza umana: la nostalgia, il senso di appartenenza, le radici che ci legano ad un determinato luogo, il dolore, la paura, la violenza, il tempo che passa inesorabilmente e che ci lascia ogni giorno diversi da ciò che eravamo solo 24 ore prima.

Lo stile narrativo, scevro da qualsiasi orpello letterario, possiede una nota decisamente fresca e si intuisce un talento che sta per decollare sostenuto dall’impeto di un’ammirevole passione per la scrittura intesa essenzialmente come gesto lenitivo.

Una passione che non turba ma commuove, per l’amore e la dedizione che traspare dalle parole.
Adriana dimostra con questo libro di conoscere l’arte di raccontare storie e di stabilire quel legame magico tra la letteratura e la vita.

Partiamo dal titolo: AZ 1358. Qual è il significato?

Il titolo, che è anche quello del primo racconto, si riferisce al volo Alitalia di metà mattina da Trieste a Roma. Per anni l’ho preso una volta al mese, andata e ritorno da Roma, dove vivo, per assistere mia madre a Gorizia, la mia città natale. Ho scelto un titolo enigmatico, come sono quelli di Murakami, scrittore che amo molto e a cui il primo racconto vuol essere un piccolo omaggio (in prima persona, paradossale, con un pizzico di ironia e una lieve amarezza).

Il libro è composto da tre sezioni che potremmo sintetizzare così: una tutta al maschile, una al femminile e l’ultima molto più intima e personale. Ma iniziamo dalla prima, che ha come protagonisti uomini, molto diversi fra loro e tratteggiati con stili altrettanto diversi. In questi 3 racconti tu ti addentrarti nell’animo maschile. Perché hai sentito l’esigenza di narrare il mondo femminile dal punto di vista dell’uomo?

Per curiosità, Dianora. Penso che la comunicazione fra uomo e donna, come pure fra soggetti diversi di qualunque tipo, migliorerebbe se ognuno potesse cogliere lo sguardo dell’altro, vedendo le situazioni dall’altra prospettiva. Quella femminile la conosco abbastanza, infatti, i racconti della sezione dedicata alle donne sono più brevi, una sorta di flash, di istantanee, alcune ironiche, altre drammatiche, su di noi.
I lettori maschi mi hanno detto che i miei protagonisti maschili sono credibili. Meno male!

A parte questa suddivisione, diciamo così, tecnica, tutti i racconti sono accomunati dal senso di nostalgia, di appartenenza (radici) e dalle descrizioni, a volte struggenti, dei paesaggi. A questo punto mi solletica una domanda: ti senti più romana o triestina? E cosa rappresenta per te la Maremma?

Negli anni ho scoperto il senso di appartenenza, il desiderio di coltivare e di approfondire le radici. Da ragazza no, non le riconoscevo, anzi volevo superarle, come qualcosa di vecchio, che limitava la mia libertà. Quindi, ora sento di appartenere alla mia terra (Gorizia e Trieste), ne ho nostalgia talvolta. La mia vita è a Roma, la mia famiglia è Roma, le occasioni di godere bellezza e cultura sono tante a Roma, questo mi affascina e ne sono grata. Ma non appartengo a Roma. La Maremma è il mio buen retiro, la amo tantissimo, mi calma e mi rasserena. Anche il paesaggio mi ricorda la mia terra: le colline con i vigneti, gli orizzonti ampi, il mare. E poi proprio qui con la mia famiglia ho fondato Arti in corso.

“Tutto ciò che ha un inizio, ha anche una fine. Fattene una ragione. E tutto andrà bene.” Diceva Buddha. Il concetto dell’impermanenza e che tu affronti più di una volta in questa raccolta…

“Tutto è mutevole, niente è costante. Questa è la legge di nascita e morte…” sono due versi dal Sutra del Nirvana con cui inizia il mio racconto noir/psicologico “Lontano, un odore di fieno”. L’origine dell’infelicità sta nel non comprendere questo, nell’attaccarsi alle situazioni, alle persone e alle cose, alla giovinezza, a una persona che non c’è più, a una terra perduta, ma anche a un modo di pensare, anche a un dolore…Nulla è per sempre, l’eternità, l’ha detto non ricordo chi, è il susseguirsi di attimi di cambiamento. Anche ora, nell’esperienza della pandemia, nulla potrà ritornare “come prima”, il cambiamento è stato troppo dirompente, ma, se avremo duttilità, potremo cavalcare il cambiamento, riflettendo su cosa ci sta insegnando. Da anni io faccio meditazione per riuscire ad accettare l’impermanenza. Non dico che ci sono riuscita, ci provo…

Galleria Arti in corso – Magliano in Toscana (GR)

Un discorso a parte lo meritano i finali, quasi mai definiti o definibili. Alcune volte non sappiamo nemmeno che fine fanno i suoi personaggi, anche se fra le parole aleggia sempre la sensazione positiva che la vicenda avrà un lieto fine. Un caso o una scelta precisa?

I finali dei tre primi racconti sono volutamente aperti a due soluzioni, una positiva, una negativa, sempre per il concetto del cambiamento e della relatività delle situazioni. Io so quale finale ho scelto dentro di me, ma non ve lo dico! Anzi, mi piacerebbe fare una statistica delle scelte dei miei lettori, che ne dici, Dianora?

Un breve racconto, Vulcano, è dedicato a tua nonna paterna. Una donna che ha vissuto in un paesino del salernitano, professoressa, irrisa come la “poetessa” perché ritenuta un’intellettuale… Cosa ti è rimasto di questa donna che peraltro non hai mai conosciuto?

Il suo coraggio, la sua sofferenza che trasmette nel libro “Il ricovero di Pietraccetta”, la sua determinazione a guidare una famiglia numerosa, cinque figli, verso valori condivisi, mantenendo la sua passione di intellettuale e scrittrice, nonostante il disprezzo dell’ambiente ignorante.

In altri racconti parli di violenza (Medusa) e di sofferenza (Lazzaro) temi difficili che però riesci a trattare da un’angolazione diversa, Medusa si fa uccidere e Lazzaro non vuole rinascere. Forse la sofferenza e il dolore deriva, oltre che dalla convinzione che tutto sia immutabile, anche dalla nostra incapacità di lasciar andare le cose?

Sì, certo, abbiamo parlato di questo in proposito del racconto “Lontano, un odore di fieno”. Per Medusa è diverso, mi ha colpito la versione del mito che troviamo in Ovidio e in Apollodoro. Medusa, bellissima ragazza, viene violentata da Poseidone sui gradini del tempio di Atena che punisce lei per il sacrilegio e non il dio. Pe cui, nel mio racconto, ho immaginato la stanchezza di Medusa a interpretare per sempre il ruolo del mostro malvagio, allora attende Perseo come una liberazione.

Alla fine di questa raccolta ci sono anche delle poesie, molto intime. Una è dedicata a tua nipote Isabella… Cosa lega questa parte poetica all’altra di narrativa?

Il filo rosso che collega tutto il contenuto del mio libro penso sia proprio l’impermanenza e il cambiamento e, nella parte intima, la nostalgia che, in un certo senso, è la difficoltà ad accettare la perdita e l’andare avanti della vita. Sentire le proprie radici, anzi approfondirle, è bello, ma le radici tengono ben fermo l’albero attaccato al terreno, impedendogli di cambiare posizione. Per fortuna ci sono i nuovi semi nel vento. Mia nipote Isabella.


 

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