Carla Maria Russo: il romanzo è l’invenzione della realtà
Tredici libri in venti anni, centinaia di migliaia di copie vendute, numerosi premi letterari vinti, finalista al Premio Acqui Terme e candidata allo Strega. Fresca vincitrice dell’edizione 2023-24 del Premio Amalago dedicato al romanzo storico, con I Venturieri.
Carla Maria Russo è una delle autrici più prolifiche e apprezzate del panorama editoriale italiano. La sua prima opera La sposa Normanna (Piemme editore, 2004), è un long seller di grande successo, che continua a vendere migliaia di copie a 20 anni esatti dalla sua pubblicazione.
Studi classici, laureata in Lettere moderne con una tesi in storia del Risorgimento, ha insegnato Italiano e Latino nel liceo classico (dove lei stessa ha studiato), prima di decidere di dedicarsi ad altre attività, come la ricerca storica, che l’ha in breve condotta alla scrittura. Poi è iniziata la sua avventura letteraria.
«Ho iniziato a scrivere per me stessa, desiderosa di mantenere traccia delle bellissime storie nelle quali mi imbattevo attraverso le mie ricerche, così intense, appassionanti e vive da annullare il tempo e parlare all’uomo di ogni epoca». Dice.
Cosa rappresenta per lei il romanzo storico?
Più che di romanzo storico, parlerei di romanzo in generale, perché non amo molto le caratterizzazioni. Raccontare una storia significa calarsi nel contesto in cui si è sviluppata, ma i protagonisti sono le persone, con i loro sentimenti e le loro passioni. E quelle sono uguali in ogni epoca della storia.
Un romanzo, per essere reale, deve ambire ad avere il tratto di universalità che gli viene dato dall’animo umano. È questo che va oltre il luogo e il momento. Mi spiego: l’Iliade e l’Odissea sono state scritte 30 secoli fa, ma sono ancora attuali perché puntano sull’uomo, sui sentimenti e le passioni. C’è differenza tra Ettore che abbraccia la moglie Andromaca e il figlioletto prima di scendere in battaglia, sapendo che potrebbe non tornare, e il soldato ucraino che abbaimo visto salutare la compagna e il figlio prima di andare in guerra? Dunque al di là del genere e della veste estetica, il romanzo deve raccontare una storia privata che riesce a diventare universale e nella quale chi legge si ritrova. Come diceva Benedetto Croce, “ogni storia che affronta il cuore umano è sempre contemporanea”.
L’uomo è uguale a se stesso, ma si può prescindere dal contesto storico?
Io sono una desanctisiana e come tale ritengo che il contesto storico sia determinante. Non si può studiare un periodo letterario senza inserirlo nel momento e nel quadro sociale in cui si è sviluppato. Così come non si può scrivere la storia di un personaggio senza raccontarne e ricostruirne il contesto. Che però, nel mio caso, viene sempre dopo la scelta dei protagonisti delle vicende che intendo narrare.
Quando intraprende la scrittura di un romanzo, quindi, inizia dal personaggio?
È esattamente così, la veste storica è conseguente. L’idea prende forma quando mi imbatto in una storia umana che mi avvince: medioevo, età moderna o contemporanea. Non mi interessa la Storia con la “S” maiuscola, ma voglio raccontare una vicenda umana privata, personale, che mi ha colpito, straziato, fatto male e che abbia una sua attualità. Poi la inserisco nel momento storico in cui si è sviluppata e che, spesso, il personaggio ha determinato con le sue scelte.
Per fare un esempio, Caterina Sforza, protagonista de La bastarda degli Sforza e I giorni dell’amore e della guerra, sposa bambina del crudele e dissoluto Girolamo Riario, donna intelligente e coraggiosa, signora di Imola e Forlì, la madre del capitano di ventura Giovanni delle bande nere, capace di tenere testa lei sola alle truppe di Carlo VIII, passionale al punto di rischiare tutto per amore. La violenza che subisce da bambina, la forza di riprendersi la vita, le scelte, gli errori. Sono situazioni poi così diverse da quanto vediamo ancora oggi in tanti contesti? I problemi sono quelli, le dinamiche sono sempre le stesse, sono diverse le soluzioni perché sono cambiati i tempi. È l’animo dell’uomo che non cambia, il genere umano resta sempre lo stesso in ogni momento della storia.
Il contesto storico viene di conseguenza, ma quanto rigore ci vuole per raccontarlo?
Ci vogliono rigore nella ricerca e nello studio delle fonti. Per approfondire la psicologia dei personaggi, le loro caratteristiche e la loro evoluzione occorre fare un lavoro certosino di ricostruzione del mondo e della società in cui sono vissuti. Si parte dalla famiglia, dai rapporti e dalle relazione, per allargarsi in cerchi concentrici fino al quadro storico generale. In caso contrario non si può ricostruire il personaggio dal suo interno. Ma questo, lo ripeto, vale per ogni romanzo che racconti storie reali.
Nella stesura di un romanzo storico, mi permetta questo aggettivo anche se lei non ama le caratterizzazioni, quanto pesa l’invenzione dell’autore?
La storia dei personaggi di cui mi occupo non la posso e non la devo cambiare. La verità storica non la posso toccare. Lo spazio dell’invenzione riguarda l’interpretazione dei fatti di cui vengo a conoscenza, la psicologica dei personaggi, i loro pensieri.
Mi figuro Caterina Sforza violentata a 9 anni dal marito che ha preteso di possederla prima dell’età allora consentita, mi figuro i suoi pensieri, la rabbia, il dolore, il risentimento verso la madre che ha lasciato che venisse usata come merce di scambio. Immagino la fine della sua infanzia, l’ingresso spietato in un mondo più grande di lei, che tuttavia riuscirà a dominare, trasformando il dolore e la rabbia in forza. Nel romanzo non devono avere tanto rilievo i fatti storici che tali sono, ma cosa c’è dietro a quei fatti, l’interiorità dei protagonisti. La storia offre informazioni scarne, tant’è che mi aiuto molto con la storiografia coeva. Il resto è un lavoro quasi da detective per ricostruire il puzzle da piccoli dettagli.
Con il romanzo, dunque, si supera la Storia?
La letteratura può andare oltre, perché lo studio della storia si ferma alle fonti. La storia è fredda. Il romanzo invece è l’invenzione della realtà. Di fatto è un ossimoro. Quando scrivo parto dal reale, ma lo rivisito attraverso i miei personaggi, perché il romanzo può espandersi nelle aree che la storia non tocca.
Qual è il valore educativo di un romanzo storico?
Abbiamo detto che non amo le categorie, per cui qualunque romanzo che narri il vero o il verosimile, senza scomodare Verga e Manzoni, è un valore aggiunto: quello di ricostruire un ambiente e un’epoca, senza la rigidità della storiografia o dei libri di storia, perché li racconta dal punto di vista dei protagonisti. Ci sono gli uomini e le donne di ogni tempo con i loro sentimenti, le passioni, gli errori, le paure, il coraggio. Riempiono l’aridità dei fatti con il vero profondo dell’essere umano che è immutato da sempre. Il fatto storico diventa il pretesto per raccontare qualcosa di molto più grande e di universale. Altrimenti è cronaca. È la differenza tra realismo e verismo, tra Matilde Serao e Giovanni Verga.
A settembre è uscito La figlia più amata, la storia delle sorelle Medici, pronipoti di Caterina Sforza. Ci sono altre idee in cantiere per un nuovo romanzo?
Storie da raccontare ce ne sono sempre tante. Una in particolare mi ha colpito, ma è ancora presto per parlare di una pubblicazione.
Intervista a cura di Lina Senserini, docente e giornalista. Foto Manfredo Pinzauti.