Carmen Pafundi e le sue appassionanti storie…

Carmen Pafundi e le sue appassionanti storie…

Con piacere questa settimana pubblico l’intervista a Carmen Pafundi, scrittrice che ama le storie intense e le saghe familiari, alla Isabelle Allende tanto per intenderci.

L’autrice mi ha inviato i suoi romanzi (Le donne della merceria Alfani e Un albero di cachi sono stata) che ho letto e che mi hanno sinceramente colpita per personaggi e vicende che sembrano pronti per un film o una serie televisiva.

Da sfondo a queste storie d’altri tempi, che poi non sono così lontani, un sud che riesce ancora a sprigionare fantasie, tormenti e intense passioni.

Nata in provincia di Foggia e diplomata all’Istituto d’arte della città, è senza dubbio un’artista a tutto tondo e donna di rara sensibilità che ha trovato nell’arte e nella cultura anche il modo di superare una lieve disabilità fisica.

Insomma, per gli appassionati di sentimenti e per gli Sherlock Holmes dell’animo umano, quelli di Carmen Pafundi sono romanzi che consiglio.

Per chi volesse saperne di più, ecco il suo sito/blog:

lamerceriadellalberodeicachi – blog dell’autrice

carmen pafundi

Come è nato il tuo primo romanzo e perché scrivi…?

Il mio primo romanzo, edito nel 2012, Un albero di cachi sono stata, non è il primo che ho scritto. È da circa dieci anni che mi dedico anche alla scrittura, con il piacere, o meglio il desiderio di pubblicare. Non mi piacciono le frasi fatte: scrivo per caso; era un’esigenza, quasi terapeutica, per elaborare drammi o altro.
Non tutte le persone che hanno delle difficoltà fisiche (come nel mio caso), o hanno avuto dei traumi, poi si dedicano professionalmente alla scrittura o alla pittura, altra mia passione, sì, ma che ho “educato” frequentando scuole preposte, come l’Istituto d’Arte e l’Accademia di Belle Arti. Chi accede a queste Scuole d’Arte, per come la penso io, ha una particolare predisposizione, non oso dire talento. E se così fosse, anche il talento, qualunque esso sia, va educato. Ho educato la scrittura leggendo, e spesso più volte gli stessi libri, lo stesso libro, o parti di esso; proprio come una ginnasta, una ballerina classica (quale avrei voluto essere, almeno da bambina), che ripete allo sfinimento un esercizio.
Un albero di cachi sono stata, tornando alla prima domanda e usando un nome appropriato, è il frutto, di tanto esercizio fisico e mentale, così come il dipingere. Solo che se avessi espresso con la pittura i sentimenti che hanno dato origine a Un albero di cachi sono stata, avrei forse dipinto un albero di cachi in stile impressionista, quello con cui da tempo mi esprimo in pittura; mentre avevo voglia di dare anche voce al suo tronco, ai suoi rami, ai suoi frutti… Ho solo mutato supporto e attrezzi per farlo, ma il lavoro e l’impegno restano gli stessi, per me.

Ci sono stati momenti complicati o nei quali hai pensato di mollare?

Uso lo stesso esempio. Anche una ginnasta può scoraggiarsi: se sbaglia; se si fa seriamente male; se non raggiunge l’obbiettivo prefissatosi; se perde… E tutto è possibile, anche tutto ciò fa crescere e migliorarsi.
Io non mi sono scoraggiata quando mi è stato detto, in pittura, come nella scrittura, che: dovevo educare il mio talento, migliorarmi, più cancellare che tenere… Mi sono scoraggiata, però, risposte, sempre quando si è trattato di “saggiare” la qualità di ciò che scrivevo, e per provare ad arginare il muro di gomma dei Grandi Editori, ho provato a chiedere umile consiglio ad autori noti e meno: “Non faccio di queste cose, aiutare giovani autori”; “Anche se lei merita, se aiutassi lei, dovrei aiutare tutti”; o editori noti con le loro prestampate lettere: “Pur trovandolo meritevole, non rientra nel nostro stile”. Mi hanno inizialmente scoraggiata dalle persone che già pensavano che io con la scrittura, come con la pittura, stessi “perdendo tempo”, o che, essendo una persona con una disabilità, solo quello io potessi fare. Solo questo faccio, infatti, ma perché mi piace farlo, con serietà e impegno; tanto quanto avrei fatto l’anatomopatologa, se mi fosse piaciuto, o l’architetto, come avrei tanto voluto, ma non ho poi fatto perché erano studi troppo onerosi.

Carmen Pafundi Libri

Nei tuoi romanzi parli del sud, la tua terra. Che rapporto hai con essa?

Sono orgogliosa di essere Lucana e con la mia Lucania, come prediligo chiamarla, usando il nome più antico, anziché Basilicata, ho un legame singolare, tra la nostalgia e il rimpianto, per la stessa ragione: l’invissuto in essa. Averla dovuta lasciare forzatamente, non per emigrare in cerca di maggior fortuna, come avi e o parenti, ma per ragioni legate alla mia salute, ha lasciato in me uno strappo rammendato non male né in fretta, forse anche perfetto, ma purtroppo è lì, sempre visibile, a chi l’ha rammendato. Ti senti sempre in colpa per la scelta che hai costretto a far fare ai genitori; ti senti sempre a disagio, un po’ estranea, anche se ben voluta, nella terra che ti ha adottata, nel mio caso la Puglia, perché anche qui c’è dell’invissuto, non c’è il tuo passato. Per questa ragione, quando torno in Lucania, che per me è sinonimo di “casa” sono avida di guardare, osservare la gente mia, respirare odori, sapori, voci, suoni di quel presente, che mi assomiglia, come i miei parenti, e del mio passato che mi segue, perché comunque dentro di me dentro, una parte importante di me, come il colore bruno dei miei occhi, come lo è, bruna, terra dei miei nonni, nelle quali ho sempre amato affondare le mie mani, come fossero radici, le mie radici.
Le tue storie sono vere oppure di fantasia?
Sono immaginate, ma io, autrice sono autentica e dunque non si può non prescindere dalla realtà, dall’emozioni vissute o non vissute, che potrebbero, possono e danno origine a una storia. Quando i sentimenti sono autentici e si è comunque dotati di una buona fantasia le storie, per me, sono sempre autentiche.

Il complimento più bello che ha ricevuto Carmen Pafundi dai lettori?

Mi sono commosso./ Ho pianto./Mi sono riveduto come figlio, in Zeno./ Ho riveduto mio padre nel padre di Zeno. E lascio al maschile, perché sono stati in particolare gli uomini a dirmelo, e come chiaro, mi riferisco aUn albero di cachi sono stata. La cosa ha stupito e commosso anche me. Mi ha dato la forza di credere in ciò che ho fatto e nel come l’ho detto, e non mi riferisco allo stile narrativo, ma al contenuto. Torna quanto detto alla domanda precedente: i sentimenti sostengono e rendono credibile anche una storia non reale.E non posso non aggiungere la commozione e i complimenti della mia maestra dell’elementari, suor Silvana:Sono orgogliosa di averti avuta come mia alunna; e delle mie professoresse, che hanno ribadito lo stessa cosa.

Tre motivi per leggere i tuoi romanzi…

1. Perché hanno dei titoli originali; 2. Perché non sono storie che hanno la pretesa di finire bene, quanto di far accettare come salvifico anche e soprattutto il dolore e la sofferenza fisica, oggi i veri tabù nel mondo evoluto,dell’apparenza e del dolore esorcizzato con l’indifferenza; 3. Perché narrano di una Lucania che non è più, o non solo quella di Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, dunque dimenticata… anche da Cristo, ma ad Egli è rimessa, quanto agli uomini di buona volontà.

Le donne della merceria AlfaniI tuoi romanzi, regali perfetti per…

Esplicito la seconda ragione per leggerli. Per chi è provato dalla sofferenza, sia fisica che d’amore;chi ha una fede messa a dura prova dalla malattia fisica come dalle “malattie” invisibili, dell’animo e mi riferisco a Un albero di cachi sono stata. Per chi, in qualche modo vuole riassaporare, come in Le donne della Merceria Alfani, il gusto di una vita genuina, matriarcale, e dunque di generazioni di donne che, come uomini, affrontanotutte le avversità, dolori e sofferenze che la vita, la sorte può riservare, ma dove non sarà la Morte mai, una Donna sempre presente, ad avere l’ultima parola.

Come narratore, provi mai il desiderio di liberarti dai personaggi che crei?

Amando dire, senza enfasi, che sono i personaggi che vengono a trovarmi e mi chiedono di essere narrati, e a volte devo assecondarli, anche troppo, comunque non potei mai liberarmi di ospiti, così graditi nella mia dimora: la Fantasia.
Che messaggio vuoi lanciare?
L’inaspettato, sia esso un evento bello o doloroso, non è mai per caso, né il destino o la sorte sono rimessi completamente a noi; ci viene consegnato nelle mani solo un capo del filo, l’altro è nelle mani di Dio, per chi crede, ma sicuramente altrove.

Da adolescente leggevi? E, se sì, cosa?

Leggo con piacere, fin dall’elementari, praticamente da quanto ho imparato a farlo. E quando ancora non né ero capace, ricordo che aprivo libri a caso e inventavo. Ho amato e tuttora amo leggere le favole, se posso.

Il libro e l’autore della tua vita?

Libro: Il piccolo principe; Autore:Isabelle Alliende.

Il libro che hai sul comodino?

Per seri problemi agli occhi non leggo più la sera, come vorrei. Già scrivere, o meglio vedere è un miracolo.Il piccolo principe a parte,terreiCyrano de Bergerac.Due storie apparentemente opposte, lontane, diverse, brevi e intense, ma che contengono la medesima forte verità: Non si vede che col cuore.Una frase che tutti conoscono, ma pochi mettono in pratica.

E quello che avresti voluto scrivere?

Il piccolo Principe.

Un sogno…

Volare con il parapendio.

Quali sono gli ingredienti per essere felici?

Non domandarselo, se lo si è, non bramarla, ma farsi sorprendere dalla felicità, che non sta in cose grandi, ma tali le rende.

Cos’è per te l’amore? Sei innamorata?

Lavorare con le parole insegna a farne buon uso, così come stimola a trovarne altre.
A volte, però, ci sono parole le quale nulla puoi, bastano a se stesse e includono tutto: Amore è una di queste. Amare, mi sia passata questa similitudine, è un colore primario, come lo sono il bianco, nero, rosso, giallo e blu. Nascono da sé in natura, non li possiamo creare noi, che possiamo solo unirli fra essi e generare, artificialmente, l’infinita gamma di colori, detti appunto secondari. Secondarie, dunque, sono tutte le parole che Amore include: Bene, Affetto, Amicizia, Stima, Rispetto… che allo stesso modo hanno la loro importanza nella tavolozza della nostra esistenza.
Ma del concetto d’Amore mi piace la definizione, autentica e non edulcorata, data da Padre Pio: “Amare è sofferenza. Chi inizia ad Amare deve essere pronto a soffrire”.
No, ora non sono innamorata, altra parola inclusa in Amare, ma voglio Bene.

Qual è per te il senso della vita?

Darle sempre e comunque un senso.

Quale sono i progetti futuri di Carmen Pafundi?

Correggere le bozze del prossimo romanzo, La ragazza sull’aquilone, che sarà sempre edito d’Altrimedia Edizioni, e che uscirà entro fine anno. Presentare a Roma, il 5 settembre, Le donne della Merceria Alfani. Sempre a settembre, il 27, sarò a Ceccano, per festeggiare ancora il40 Premio Nazionale Ciociaria. Si procederà con le presentazioni del nuovo romanzo… e come Dio vuole.

Un consiglio a chi vuole seguire le tue orme.

Fare questo mestiere con lo stesso impegno e dignità con cui farebbe l’anatomopatologo o il chirurgo. Non farsi dire mai, se possibile: “Se mi mettessi, scriverei o dipingerei anch’io”. E se lo dicesse uno scrittore o pittore a un chirurgo? Nessuno muore per un libro sbagliato o un dipinto incompreso, per carità, ma muore la dignità di un autore, quando viene incompreso, perché sottovalutato il proprio mestiere, non considerato tale.

Grazie infinite di cuore alla carissima collega Dianora Tinti per queste splendide domande, nate dalla sua professionalità e dal aver saputo cogliere dai miei libri emozioni non comuni. Grazie anche per quell’auspicio fattomi, che preferisco mantenere segreto. Lasciamo prendere, non a caso, il volo al prossimo romanzo, e poi, se andrà in quella direzione… Dianora sarà stata la prima ad augurarmelo!

Buona Vita
Carmen Pafundi

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