Donne e violenza: ‘Una mattina come tante’ di Sabrina Cionini
Una mattina come tante
di Sabrina Cionini
(2022, Thalia Servizi editoriali)
Chi è Sabrina Cionini
Sabrina Cionini è nata a Grosseto, dove vive, nel 1967. È animatrice e operatrice d’infanzia, esperta in comunicazione sociale, legata al mondo del volontariato, e da anni crea e realizza percorsi formativi per sensibilizzare e per contrastare la violenza contro le donne, i bambini e i disabili, diverse forme di violenza e di insensibilità verso, donne, bambini, disabili. Una mattina come tante, sua opera prima, cerca di dare corpo ai tormenti vissuti e osservati a partire da sé, alle personali scoperte, alle sofferte e felici consapevolezze.
Di cosa parla
Barbara è una giovane donna, bella, socievole e piena di idee. Ha alle spalle un’infanzia difficile, a causa del rapporto disfunzionale e violento dei genitori che la fa crescere in un clima anaffettivo e di paura continua. Inoltre, Francesca, la sorella maggiore, ha una grave disabilità che la rende non autosufficiente. La donna catalizza le poche energie affettive della madre, succube del marito e dei suoceri con i quali vive, oscurando del tutto le necessità soprattutto affettive di Barbara che si sente invisibile.
Appena adolescente, Barbara, innamorata dell’amore e spinta dal desiderio di allontanarsi dalla famiglia, incontra Lui – uomo del quale mai viene fatto il nome – e dopo un breve fidanzamento decide di sposarsi. La relazione presto diventa tossica. Il marito a poco a poco si rivela un violento e un manipolatore e cerca di allontanare Barbara dai familiari e dagli amici. La insulta, la denigra, è geloso di lei in modo ossessivo, quando è lui stesso a tradire. Diventa una presenza oscura e minacciosa che fa perdere a Barbara certezze e punti di riferimento. Poi la donna, toccato il fondo della disperazione, inizia finalmente un processo doloroso e commovente di separazione. Una disintossicazione dalla dipendenza affettiva, alla ricerca di se stessa. Inizia così di nuovo a volersi bene, a ritrovare desideri e interessi. Nel percorso di rinascita e di uscita dalla violenza incontra Giulio, un uomo gentile, una figura maschile positiva e benefica, insieme al quale deciderà di vivere e di formare una famiglia
Tanti sono i romanzi, memoir e saggi che raccontano storie di violenza contro le donne. Tu hai scelto di raccontare la tua vicenda tramite un romanzo/diario. Cosa ti ha spinto a scrivere? E perché questa forma diaristica dove prevale l’io narrante?
La mia storia risale a molti anni fa. Già all’epoca in cui sono accaduti i fatti raccontati, ho avuto il desiderio di scrivere. Questo perché ho sempre pensato che il dolore immenso che ho vissuto, e che in quel periodo mi ha devastato fino a farmi pensare che fosse meglio morire, non potesse essere fine a se stesso.
Inoltre due anni fa sono accaduti fatti gravi nella mia famiglia di origine. Questi mi hanno sconvolto la vita e obbligato a lavorare di nuovo su me stessa per sopravvivere a ciò che mi stavano travolgendo, ma anche dato la spinta per scrivere.
Questo libro è stato il mio modo di trasformare il dolore vissuto in qualcosa di positivo che potesse essere di aiuto a tante persone.
La forma diaristica è stata fondamentale per trasmettere ai lettori le emozioni autentiche di quei momenti. Ho voluto che le pagine del diario fossero riportate fedelmente, perché oggi per fortuna non avrei saputo riscrivere i sentimenti, le paure, le speranze, le difficoltà, vissute nel momento in cui ho provato a staccarmi dalla relazione tossica che mi coinvolgeva da diversi anni.
Inoltre ho usato intenzionalmente una scrittura semplice e diretta che mi rappresentasse al meglio, in quanto il mio scopo era quello di arrivare a più persone possibili, di ogni stato sociale e con ogni tipo di istruzione e che la lettura del libro diventasse quasi un dialogo tra me e il lettore.
Ho inserito in vari punti delle riflessioni in maniera da invitare il lettore a farsi delle domande e riflettere il più possibile sugli argomenti trattati.
Ci tengo a precisare che scrivendo e pubblicando il libro era mia intenzione far passare un messaggio positivo e di speranza.
Te la senti di raccontarci la tua storia e se c’è stato un episodio, un segnale, che ti ha fatto capire che il vostro rapporto non era sano?
Purtroppo anche in questi giorni, dopo la tragica morte di Giulia e del suo bambino, ho sentito spesso in Tv porre questa domanda.
I segnali ci sono sempre e sono tanti, ma chi è coinvolto in una relazione di dipendenza affettiva non li vede. Spesso non li vuole vedere, normalizza.
Per questo mi sto impegnando a sensibilizzare le persone sulla violenza psicologica e dipendenza emotiva. Solo ascoltando esperienze vissute e superate, leggendo e riflettendo, le vittime possono acquisire consapevolezza e riuscire così reagire e prevenire la violenza fisica e spesso la morte.
Leggendo un libro di Mark Manson che invita ad imparare a riconoscere le difficoltà e abbracciare le nostre paure, difetti, incertezze, ho trovato forse un modo abbastanza brusco ma diretto per capire se siamo coinvolti in un rapporto tossico:
- Laddove ti senti di non poter dire di No, perché il tuo No anche se sacrosanto potrebbe influenzare negativamente il rapporto, comportare gravi conseguenze nelle dinamiche di coppia, familiari o di amicizia.
- Oppure quando non sei capace di gestire e affrontare un rifiuto dall’altro.
Prendo in prestito questo concetto….“Riconoscere la differenza tra quando si fa qualcosa perché ci si sente obbligati e quando lo si fa volontariamente può essere difficile”.
Perciò ecco una prova del nove. Chiediti: “se rifiutassi di farlo, la mia relazione come cambierebbe?”. Allo stesso modo, domandati: “se il mio partner rifiutasse di fare quello che voglio, la nostra relazione come cambierebbe?”.Se la risposta è che un rifiuto causerebbe un’esplosione di sceneggiate drammatiche e piatti rotti, questo è un brutto segno. ….” Aggiungo io se il NO dovesse comportare da parte dell’altro ricatti, umiliazioni, tradimenti e da parte nostra tanti sensi di colpa, ci sono buonissime probabilità di essere dentro ad una dipendenza affettiva.”
Mi sembra importante aggiungere che in un rapporto di coppia siamo sempre in due, ognuno deve prendersi le proprie responsabilità. Ciò non significa assolutamente giustificare o assolvere atti di violenza fisica o emotiva. Vuol dire prendere consapevolezza che, se stiamo con questa persona sbagliata anche noi abbiamo qualche problema. Altrimenti scapperemmo a gambe levate. Per questo bisogna concentrarsi sul capire le nostre problematiche e debolezze provando a risolverle, senza aspettare che l’altro risolva le sue o pensare che senza di noi sarebbe perso.
Nel mio caso i segnali ovviamente c’erano, i più importanti erano i vari tradimenti, attraverso i quali mi veniva consegnata su un piatto d’argento la mia dose di umiliazioni, mi veniva abbassata l’autostima e aumentati i sensi di colpa, perché se lui tradiva era solamente colpa mia, perché io non ero abbastanza comprensiva, sexy, bella, ecc…
Quanto è durata la vostra storia?
E’ durata circa 15 anni.
Spesso le donne vittime di violenza devono combattere anche contro loro stesse e i subdoli sentimenti di vergogna, colpa e senso di fallimento. Tu quando sei riuscita a capire che la persona sbagliata era lui e non te?
Le donne vittime di violenza non parlano, perché soprattutto nella violenza psicologica difficilmente sei creduta o capita. C’è vergogna, perché spesso si pensa sia colpa della donna se il partner si comporta in un certo modo. Anche lo sfogarsi con qualcuno e raccontare, fa provare un senso di colpa, come se avessero tradito il partner.
Le vittime tendono a normalizzare tutti i comportamenti sbagliati del partner. E’ l’unico modo per sentire meno dolore ed è più facile che reagire, laddove ancora non esistono gli strumenti necessari per compiere un’azione di ribellione.
Io ho iniziato a percepire che lui fosse sbagliato nel momento che ho avuto un paio di attacchi di panico. Cercare di capire e uscire da quelle sabbie mobili che riescono solo a buttarti sempre più giù per me è stata “OPRAVVIVENZA.
Lui diventa sbagliato solo nel momento in cui decidi definitivamente di vivere la TUA vita e volerti bene.
Chi ha messo definitivamente la parola FINE al vostro rapporto?
La parola Fine definitivamente al nostro rapporto l’ho messa io quando ho iniziato a volermi bene ed ad assaporare la libertà di vivere senza condizionamenti emotivi.
In base alla tua esperienza, potresti tracciare l’identikit dell’uomo narcisista e manipolatore? Quali le sue principali caratteristiche?
Purtroppo ho molta esperienza in merito. Sono cresciuta con un padre narcisista manipolatore (che tutt’oggi prova a crearmi non pochi problemi) e poi ho continuato con il mio partner di allora.
Quasi sempre la famiglia di origine è la principale causa dei rapporti di coppia tossici dei figli, per questo motivo il mio libro parte dal 1954, anno in cui si sono sposati i miei genitori.
I figli infatti vivono crescendo un tipo di amore malato e non ne conoscono altro, per questo tendono a ripetere la stessa esperienza nella nuova famiglia.
Un narcisista è completamente concentrato su di se, non ha rispetto per i tempi, per i sentimenti, per le necessità dell’altro chiunque sia, anche dovesse essere un figlio.
i suoi bisogni vengono prima di tutto.
Il narcisista chiede alla partner un amore incondizionato, come quello materno: “tu mi devi amare anche se mi comporto male, ti levo di rispetto, ti umilio davanti agli altri, ti tradisco, ti picchio, mi devi amare nonostante tutto.”
Il narcisista non si prende mai le proprie responsabilità, è sempre colpa dell’altro.
Il narcisista proprio non ti vede, se non nel momento in cui può usarti per qualche suo bisogno.
Il narcisista ti seduce per poi annientarti, è un’altalena, un’incoerenza continua, dalle stelle alle stalle e tu ti domandi sempre: “dove o sbagliato?”…per finire nelle stalle.
Il narcisista tende a manipolare e ad isolare per avere sempre più potere.
Il narcisista cerca il potere dovunque e comunque.
Il potere glielo da la vittima che con la mancanza di amor proprio accetta tutto senza replica.
Tu non hai subito violenza fisica ma quella psicologica, subdola e certamente non meno grave. Cosa si può fare per la prevenzione della violenza maschile contro le donne?
Dopo aver letto tanto sull’argomento, ma soprattutto dopo aver riflettuto molto sulla mia esperienza diretta e indiretta per quanto riguarda la violenza psicologica e la dipendenza affettiva, sono giunta a conclusione che la violenza sulle donne è la conseguenza di vari fattori, due dei quali fondamentali.
- Il primo è quello culturale, ed è quello più complicato da superare.L’emancipazione della donna è stata più veloce del cambiamento culturale, cosi che molti uomini ancora oggi non riescono a capirla e ad accettarla. Il mancato “controllo” sulla propria partner, economico o anche solo emotivo o fisico, rende questi uomini furiosi.
- Il secondo fattore è una sbagliata o addirittura nulla crescita emotiva della persona stessa. Alcuni uomini, si sentono il diritto ed è per loro la normalità, considerare una donna o comunque purtroppo anche i figli , come oggetti di cui avere la proprietà assoluta. E di poterli annientare per dimostrare il proprio potere laddove si dovessero ribellare o diventassero ostacoli per la loro vita.Dall’altra le donne non hanno tutta quella sicurezza e consapevolezza nei rapporti di coppia come spesso hanno in altri ambiti. La debolezza quasi sempre nasce dalle ferite emotive, abbandoniche, subite nell’infanzia, oltre ai retaggi culturali e alla mancanza di autostima. Si trovano così vittime di uomini che in qualche modo tendono a sopraffarle. Non c’è differenza tra età, professione, ceto sociale o grado di istruzione, è trasversale. Sicuramente anche la differenza di forza fisica tra uomo e donna fa si che l’uomo spesso possa facilmente dominare, soprattutto in casi di violenza fisica.La prevenzione è fondamentale. Si attua appunto parlandone il più possibile, ma non con la retorica o le frasi fatte, come purtroppo spesso avviene. Va fatta attraverso l’ascolto di esperienze di chi ha già vissuto la violenza ed è riuscito ad uscirne.
In questi casi di violenza, la vittima può farcela da sola oppure ha bisogno di sostegno
fisico e psicologico? Tu hai avuto, o ancora hai, aiuti di questo tipo?
E’ difficilissimo uscire da un rapporto violento di qualunque tipo esso sia.
Il rapporto in questione diventa come una dipendenza a tutti gli effetti e si hanno grosse crisi di astinenza, per questo è fondamentale chiedere aiuto a persone vicine sane, alle varie associazioni che si occupano di queste problematiche, ma soprattutto a psicologi che con la loro professionalità possono aiutare la vittima a trovare la forza ed il coraggio per farcela.
Io sono stata e sono aiutata dai miei amici, da diversi professionisti e Associazioni. Il lavoro più grosso comunque lo dobbiamo fare con noi stesse. Siamo noi che dobbiamo mettercela tutta anche quando il dolore ci travolgerà e penseremo di farla finita. Senza la nostra determinazione nessuno potrà aiutarci.
Ai tuoi figli hai raccontato cosa ti è successo?
Ho la fortuna di avere due figli, uno di 19 anni e una di 16 anni con un marito che ho conosciuto 23 anni fa.
I miei figli sanno più o meno tutta la mia storia. E’ stato molto difficile aprirmi con loro, ma sono contenta di averlo fatto, spero che la mia esperienza seva loro a crescere e a vivere i propri rapporti in modo più sano e consapevole.
Attraverso le loro esperienze sociali adolescenziali mi rendo conto che anche nelle nuove generazioni ci sono ancora situazioni di sopraffazione emotiva. Uno dei compiti educativi in cui mi sono impegnata di più è stato quello di insegnare loro il rispetto per gli altri chiunque siano, senza giudizio di alcun tipo oltre all’amore e il rispetto per se stessi.
Cosa ti aspetti dalla pubblicazione di questo libro?
E’ stato difficile pubblicare il libro e mettermi a nudo davanti a tutti. Il mio scopo fin dall’inizio è stato quello di aiutare altre persone che in questo momento stanno vivendo un dolore simile al mio.
Le varie presentazioni che ho fatto mi hanno dato molte soddisfazioni, soprattutto a livello umano. Già alcune donne, anche grazie al libro che ha dato loro l’occasione per guardarsi dentro e ascoltarsi, hanno iniziato un percorso di rinascita.
Dove l’hai presentata e dove vorresti portarla?
In vari posti. Sono stata fortunata, perché ho trovato tante persone sensibili all’argomento che hanno compreso l’importanza del mio messaggio e mi hanno aiutata nella diffusione.
Adesso mi sto organizzando attraverso amicizie e conoscenze per presentare il libro anche fuori dalla provincia di Grosseto. Soprattutto spero di riuscire ad andare a raccontare la mia esperienza nelle scuole, in modo da avere un confronto diretto con i giovani di varie età.
Parlare con i ragazzi che cominciano adesso ad avere esperienze amorose sono certa che potrebbe essere un piccolo tassello per la prevenzione.
Un consiglio alle donne che come te hanno subito violenza…
Cercate dentro di voi la forza e il coraggio, concentratevi su chi siete, sulla vostra vera essenza. Facendovi aiutare andate incontro alla libertà emotiva, una volta raggiunta più nessuno vi potrà sopraffare. Non potete neanche immaginare la sensazione meravigliosa che potrete provare.
Fate spazio dentro di voi per far entrare tutto ciò che vi piace e che vi rende felici
Io ho un cartello in casa, fatto da me, dove c’è scritto a grandi lettere IO SO CHI SONO e oggi aggiungo e quanto valgo. Per non dimenticarlo mai.
Intervista a cura di Dianora Tinti, giornalista e scrittrice