Giovani italiane
Nella seconda parte degli anni trenta, dopo la conquista dell’impero, gli aspetti coreografici e formali del fascismo cominciarono a diventare sempre più presenti nella vita quotidiana. I ragazzi, in specie, venivano coinvolti in attività di gruppo, anche divertenti. Avevano nomi diversi a seconda dell’età. I figli della lupa, le piccole italiane, i balilla, gli avanguardisti e le giovani italiane.
Mia madre, essendo del ’21, fece tutto il “cursus honorum”, anche perchè non era facoltativo. Non lo erano neppure i saggi ginnici con cui le piccole/giovani italiane concludevano l’anno scolastico e abbellivano ogni evento pubblico. Tra parentesi, mia madre, come me, era dal punto di vista atletico, una vera cozza, per cui i duri allenamenti la facevano piangere. Però, per il resto, si adattava abbastanza, sia per carattere (estremamente ligia al dovere), sia perchè lei aveva conosciuto solo quel mondo.
Mia zia, per contro, essendo sette anni più grande ed avendo uno spiccato spirito critico, non gradiva molto queste imposizioni, preferiva studiare per conto suo o uscire con le amiche. Magari anche andare al cinema il sabato, anziché partecipare all’ appuntamento del sabato fascista.
Come dicevo, dal 1936 in poi, l’obbligatorietà di partecipare alle varie manifestazioni era diventata stringente sia per gli studenti che per gli insegnanti. Non onorare il sabato fascista, per esempio, poteva costare note di demerito.
Mia zia, a quell’epoca, aveva già cominciato a insegnare, con non pochi sacrifici, in vari paesi in provincia di Grosseto. Bisogna tenere presente che nessuno aveva l’automobile, per cui insegnare a qualche decina di chilometri da casa, comportava spostamenti non sempre agevoli, qualche volta di fortuna.
Lei, dunque, non era per niente d’accordo, dopo una settimana di fatiche (in quel periodo ebbe perfino una classe di 45 (!) bambini a Marina dove andava in bicicletta), a trascorrere il sabato sentendo parlare delle gesta del duce e assistendo alle performance non-atletiche della sorella. Oltretutto bisogna precisare che mia zia era (all’epoca inconsapevolmente) decisamente progressista, per cui non era d’accordo praticamente su niente col regime. Ovviamente non lo poteva dire, nemmeno in casa, perchè tutti si sarebbero preoccupati.
Però, nonostante tutto, riuscì a risolvere brillantemente il problema del sabato fascista quando le fu assegnata Buriano come sede d’insegnamento. Semplicemente : a Buriano diceva che partecipava al sabato fascista a Grosseto perchè c’erano i familiari. A Grosseto diceva che rimaneva a Buriano per seguire gli alunni.
Pare che mia madre, sempre esageratamente rigorosa, la criticasse abbastanza per questa piccola trasgressione. Ma lei, vivaddio, saltò tutti i sabati e lo raccontava con soddisfazione.
Certo, era fortunata che a quel tempo non ci fosse Facebook, l’avrebbero sgamata subito!