‘I nomi di Melba’ di Sara Notaristefano
I nomi di Melba
di Sara Notaristefano
(Manni edizioni)
Chi è Sara Notaristefano
Nata a Taranto nel 1980, risiede da molti anni in Alto Adige. Insegna e collabora con il semestrale di critica letteraria Incroci.
Con il racconto Breve storia di ordinari alibi familiari (2020) e il romanzo La composizione del grigio (Divergenze, 2021) ha ottenuto diversi riconoscimenti.
I nomi di Melba è la sua ultima pubblicazione ed è risultata vincitrice del Premio Letterario Città di Siderno 2022.
Di cosa parla
Melba è una giovane donna appartenente ad una ricca famiglia pugliese, il cui padre, proprietario terriero senza scrupoli, misura il mondo e le persone col solo metro del denaro. La madre tenta di compensare grettezza e crudeltà del marito con atteggiamenti apparentemente più empatici, ma è troppo snob e inadeguata per essere credibile.
I due fratelli di Melba sono i poli opposti in in mezzo ai quali si dispiegano le dinamiche familiari. Arcangelo, il maggiore, è l’erede designato, il padre ne ha fatto fin da bambino il suo clone. Donatello, il minore, artista e sensibile, suo complice sin da bambina, è il fratello più amato dalla protagonista ma viene da sempre disprezzato dal padre e dal fratello.
In mezzo c’è lei, Melba, che ancora vive a Villa Luisa, la sontuosa residenza di famiglia, apparentemente passiva e indifferente a tutto ciò che la circonda. Ma l’apparenza inganna e l’amore per un uomo sarà per Melba il catalizzatore di una crescita interiore, che la porterà a ribellarsi e a vivere finalmente in accordo con se stessa e coi propri sentimenti.
Cosa ne penso
Già dalle prime pagine si entra in contatto col mondo interiore della protagonista e la sensazione è quella di essere spettatori insieme a lei a Villa Luisa, mentre vanno in scena le vite dei suoi familiari. Melba infatti rimane sempre, contemporaneamente in scena, e fuori scena come osservatrice esterna. Una condizione alla quale si è rassegnata appena venuta al mondo, come ben si evince dalla definizione che la donna dà di se stessa già nelle prime righe del romanzo:
Sin dalla nascita ho saputo perfettamente chi fossi. Un ossimoro antropomorfo, un’indolente e disgustata comparsa, il frutto più ironico del ventre di mia madre.
Fedele a questa immagine e a questo non-ruolo, vi si adegua con studiata passività e ne fa un tratto distintivo del suo modo d’essere che, se in parte la protegge dalla crudeltà dei familiari, le impedisce però di osare e mettere in gioco se stessa. In una parola di vivere. D’altra parte chi, come Donatello osa, poi si perde e soccombe. Meglio allora sopravvivere, rifugiarsi in quella condizione che proprio l’amato fratello con ironico acume aveva, un giorno, definito melbità.
L’autrice, con questo romanzo ben scritto che scorre piacevolmente dall’inizio alla fine, riesce abilmente a condurre il lettore, insieme alla protagonista, in un percorso di auto-consapevolezza, in fondo al quale si avrà come dono una grande verità sul vero Amore.
E’ proprio l’assenza di qualsiasi tornaconto, anche minimo, a rendere l’amore la più grande rivoluzione possibile. E liberarsi dal bisogno rende più potenti, non più deboli
Perché se è facile giudicare e condannare chi non ci ama, lo è assai meno imparare ad amare. Solo col coraggio di affrontare il dolore possiamo arrivare ad amare veramente noi stessi e chi ci ama. E farlo ci rende finalmente liberi, perché se non può esistere vero amore senza libertà, la conquista della vera libertà è un atto d’amore verso noi stessi.
Daniela Lembo, Counselor relazionale, esperta in comunicazione e relazioni interpersonali