Alessandro Q. Ferrari e il suo ultimo libro
Alessandro Q. Ferrari dopo aver esordito nel 2018 con il bestseller Le ragazze non hanno paura, edito De Agostini, è ora in libreria con Devo essere brava, edito sempre da De Agostini.
Sara deve essere brava e non ci sono alternative. In caso contrario non rivedrà più suo fratello Rocky, non glielo lasceranno portare a casa, non potrà mai viverci insieme. E lui è tutto ciò che vuole dalla vita. Suo padre se ne è andato e sua madre ha trovato lavoro in città, abbandonandoa. È questo mondo storto e sbagliato che la porta sul baratro di un abisso. E lei ha bisogno di distruggere, mordere, rompere, forse anche solo per togliersi quel sapore nero che ha in bocca… Sara deve essere brava, per trovare una via d’uscita a tutto questo. Ma da sola non può farcela. Amicizie sbagliate, ragazzi sbagliati, adulti sbagliati. Sara sa solo ripetersi quello che deve ma non riesce a essere. Finché una notte tocca il fondo dell’abisso e capisce che è il momento di risalire. Non importa se tutto il mondo le è contro, niente potrà fermarla. Un romanzo che possiede la forza visiva di un’opera di kandinsky, consigliato agli adolescenti di oggi… e di ieri!.
- Ringraziamo Bailo Fausto e la Premiata Libreria Marconi di Bra (Cn) per aver reso possibile questa intervista.
Quando ha iniziato a scrivere il romanzo Devo essere brava?
“L’idea era lì da sempre. Io mi appunto le idee in un documento che passa di computer in computer dal 2004. Prima era tutto su carta, quaderni e fogli presi dove capitava. Sara era già lì, non so da quando. Ma la sua storia, il romanzo vero e proprio ho iniziato a scriverlo all’inizio del 2019. Con una grande pausa, una specie di crisi e timore, che per fortuna si è risolta d’estate. Da lì in poi ho scritto senza sosta”.
Come sono “nati” i protagonisti?
“La voce di Sara è nata un giorno che stavo camminando per strada. Stavo andando nel mio studio, da casa mia, e all’improvviso ha urlato nella mia testa l’incipit del libro. Lo so che cosa pensate. Perché dovrei leggere questa storia? Con tutto quello che ho da fare? Forse non avete capito. Dovete leggerla perché ne ho bisogno io. Se voi non la leggete, io non la scrivo e se non la scrivo finisce che faccio qualcosa di veramente pericoloso.
Questa frase era di Sara e voleva farsi ascoltare. Me la sono appuntata in quel mio documento, sapevo che apparteneva a qualcuno di importante. Da lì ho poi costruito il personaggio, o meglio lei si è costruita, basandomi su una persona che ho conosciuto. Una Sara, anche se si chiamava Jessica. È stato tanto tempo fa, quando lavoravo in un ristorante come cameriere – lo stesso, più o meno, che si legge alla fine del libro. Di Rocky invece ne ho conosciuti tantissimi e nessuno era Rocky, ma tutti lo erano (cerco di non fare spoiler).
Avevo bisogno di raccontarli, di raccontare il loro modo di parlare, la loro normalità, il gioco dell’infanzia che non si deve spegnere mai. Quindi vengono entrambi da persone che ho conosciuto. Anche Fumo, soprattutto Fumo. Ho passato un’estate intera con lui, quando avevo diciassette anni. E non l’ho mai dimenticato. Aveva gli stivali bianchi anche nella realtà”.
Quanto è stato complesso scrivere un libro che catapulta il lettore nell’adolescenza?
“Molto difficile. Ma non tanto per l’adolescenza, credo che quella sia dentro di noi, che non se ne vada mai anche da adulti e che bisogna solo ascoltarla. Il difficile è scrivere in sé, perché sono molto esigente. Non sopporto le sbavature, di trama o di lessico, non sopporto che una cosa non suoni come deve suonare o che ci siano punti nella storia che non evolvono come dovrebbero. Questa intransigenza mi spinge a scrivere e riscrivere ossessivamente, a fermarmi un sacco di volte. Questa è la parte difficile, dire ok, va bene e andare avanti. Il resto è solo restare lì e ascoltare. Osservare e ascoltare in silenzio”.
Con quali colori potrebbe descrivere le vite dei protagonisti?
“Credo che la vita di Sara sia azzurra. Perché è il colore del fiume, un colore che può essere freddo o caldo a seconda del momento. Un colore che ferisce, ma allarga. Il cielo è azzurro. Il ghiaccio lo è. Per puro caso, ma forse è l’universo che ci parla, anche il fumo in copertina ha quel colore. Sapete che la ragazza fotografata si chiama Sara? Non credo che sia solo lei, però.
Rappresenta tutte le ragazze adolescenti che ci sono nella storia. E non solo loro. È come se fosse anche Fumo e Amina e Ania, per questo il volto non si vede bene. Quella foto è uno specchio. La vita di Rocky invece è gialla perché mi sono sempre immaginato la Stanza Galleggiante gialla, non saprei spiegarne il motivo. C’è anche del rosso, quello della Residenza Scolastica Demoniaca. Fumo, invece, è bianco. Non c’è altro colore per lui”.
Secondo lei, cosa è veramente necessario per scrivere un buon libro per ragazzi?
“Non ho una vera risposta a questa domanda, mi dispiace. Non lo so. Non lo so, perché non credo che ci sia una ricetta. Non esistono nella vita. Credo che l’unica esigenza, necessità se vuoi, sia quella di essere sinceri e sincere quando si scrive. Di dire le cose come stanno, di non inventarsi una storia tanto per, ma di seguirla fino a dove ci porta a tutti i costi. Anche quando non vorremmo, anche quando avevamo pensato diversamente. La storia su tutto”.
Progetti per il futuro?
“È così arduo fare progetti quest’anno. Ogni cosa sembra dietro un vetro appannato. Continuerò a scrivere, per lavoro per me stesso per chi vuole ascoltare. Non posso smettere, anche se a volte viene la paura a bussare e urlare di farlo. Ma posso solo scrivere, raccontare, osservare e ascoltare per poi scrivere e raccontare. È il mio modo di cambiare il mondo. Tutto qui”
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