Intervista al poeta Antonio Merola
Antonio Merola, classe 1994, è laureato in Lettere Moderne all’Università La Sapienza di Roma con una tesi sulla recezione della critica italiana rispetto all’opera di F. Scott Fitzgerald.
Sue poesie inedite sono apparse sui siti Atelier online, Poetarum Silva e Pageambiente, sulle riviste Euterpe e La Tigre di Carta, e nel Poetico Diario (LietoColle, 2017).
Altre stanno per essere pubblicate anche sulla rivista cartacea Atelier. Collabora, o ha collaborato, con Altri Animali, (Racconti Edizioni), Flanerì, Lavoro Culturale, Carmilla e Culturificio.
È cofondatore di YAWP: giornale di letterature e filosofie, per il quale ha curato anche la raccolta poetica L’urlo barbarico (A. V., Le Mezzelane, 2017).
Si occupa dei Quaderni Barbarici su Patria Letteratura. Ha pubblicato sotto pseudonimo con Iuri Lombardi la raccolta di racconti Il Vice Presidente venne dopo sette secondi (96, rue de-La-Fontaine Edizioni, 2016). Suoi racconti inediti sono apparsi su Carmilla, Cultora e Reader For Blind.
Ringraziamo Fausto Bailo e la Premiata Libreria Marconi di Bra (Cn) che, come sempre, ha collaborato fattivamente.
Quando si è accorto che stava per passare da lettore di poesia ad narratore di poesie?
“Non credo possa esserci una risposta univoca a questa domanda: potrei dire la prima volta che ho scritto una poesia (era davvero scritta male) o quando ho cominciato a mandare poesie alle riviste o ancora quando una di queste ha deciso di pubblicarmi; ma si tratterebbe comunque di una approssimazione.
Mi piacciono moltissimo le biografie, perché mi illudo sempre di trovarci dentro l’uomo. E con una buona dose di empatia e il biografo giusto a volte è possibile quantomeno provare a capirci qualcosa. Anche la storia si serve continuamente di queste approssimazioni cronologiche, diciamo pure con una certa consapevolezza; intendo dire che gli storici sanno benissimo che esiste una distensione dell’evento che analizzano, ma continuano con ostinazione nel tentativo di fissare quell’evento nel momento in cui si manifesta con più evidenza in quello che sembra esserne l’apice.
Trovo che sia molto umano dopotutto. Questa ossessione nel volere fermare le cose per capirle meglio. Mi ricordo che quando ero più giovane mi piaceva vedermi come un poeta o uno scrittore, a seconda di che cosa mi usciva fuori, ma poi ogni volta che non riuscivo a scrivere ci stavo molto male. Ricordo che per circa un anno non scrissi nemmeno una riga e se prima mi chiedevo come mai scrivessi, a quel tempo ero arrivato a chiedermi come mai non scrivessi e che cosa questo significasse per la mia identità. Solo più tardi ho capito che quello era un periodo di transizione in cui stavo maturando in silenzio un mio stile personale. E così alla fine ho smesso di chiedermi perché scrivevo e ho ricominciato a scrivere”.
Quale poesia le è rimasta particolarmente nel cuore?
“Non ho mai avuto una (o più) poesie preferite. Voglio dire che non mi è mai interessata la singola poesia di qualcuno.
Mi piacciono invece le raccolte compiute: ciò non avviene sempre, perché talvolta per rispondere a determinate esigenze editoriali (come per esempio arrivare a un numero minimo di pagine per giustificare la pubblicazione materiale di un libro) o per una personale inesperienza nell’approcciarsi a ciò che si scrive con uno sguardo critico che riesca a soppesarsi dall’esterno, alcuni poeti si ritrovano a inserire in una raccolta quelle poesie che io chiamo riempitive.
Di solito posizionate qua e là nel mezzo, perché quelle più riuscite vengono poste in apertura e alla fine. Esistono invece quelle raccolte in cui il poeta ha pesato ciascuna poesia, dove non esiste una poesia migliore o più significativa di un’altra, ma, se vogliamo, il percorso di uno spirito.
Parlo a livello formale ovviamente, perché è impossibile rendere compiuto l’essere. Sono quei casi in cui se gli si chiedesse al contrario di eliminare una poesia dalla raccolta, il poeta non saprebbe rispondere. Questo per la poesia contemporanea.
Perché con i classici ho un rapporto del tutto diverso: con loro è l’uomo che prende il sopravvento. Non che il poeta sia diverso dall’uomo che scrive. Voglio dire che prevale in me la curiosità (anche se forse è il termine sbagliato) di provare a capire come il poeta che leggo l’abbia spuntata con la vita o se magari non l’abbia spuntata affatto e come mai, e allora ho bisogno di leggere quei volumi che raccolgono tutte le poesie di un determinato autore. Perché in questo caso con compiuto non intendo altro che la morte.
Ecco il motivo per cui spesso mi ritrovo a non ricordare esattamente neppure una poesia di una raccolta, ma a conservare dentro di me una sensazione di insieme: cioè un mondo interiore e uno stile. Ma siccome mi ha chiesto di scegliere una poesia, eccola alla fine qui: dopotutto, hanno certamente ragione di Paul Verlaine.
Parla delle somiglianze tra una generazione e l’altra che vengono invece scambiate per delle dissomiglianze, che è poi quello che mi ero posto come obbiettivo strutturale quando ho curato L’urlo barbarico. Ora che lo riprendo in mano, vedo che avevo sottolineato un verso in particolare: «Che si tengano Ibsen! Per noi era Hugo»”.
Lei è un collaboratore del sito YAWP, quale scopo si prefigge il sito?
“YAWP giornale di letterature e filosofie è una rivista online: spesso ci chiedono come mai nel nome compaia anche il termine giornale. Si tratta di un tributo alla vecchia redazione.
A quel tempo YAWP era davvero un giornale universitario che per un breve periodo era stato persino sovvenzionato da La Sapienza di Roma. Quando poi siamo cresciuti e ci hanno passato il testimone, abbiamo deciso di farne qualcosa di più ampio ed è nata la rivista.
Oggi io mi occupo della sezione poetica, Michelangelo Franchini di quella dedicata ai racconti brevi, Iuri Lombardi di Critica Letteraria, Sara Giudice della sezione Arte agita dedicata al teatro, alla danza e a ogni tipo di arte “in movimento” e poi Alfonso Canale di Simposio, cioè degli editoriali, delle recensioni e di tutti quegli articoli culturali che però non hanno lo spessore o la forma di un saggio breve, e di Ri-Scritture, la nostra rubrica dedicata alla traduzione di autori minori e/o dimenticati; Federica Ruggiero si occupa infine della sezione dedicata alle arti figurative: Galleria.
Ciò che ci rende davvero soddisfatti è che molti autori scoperti o che sono transitati per l’esperienza di YAWP sono riusciti poi a pubblicare anche su altre riviste di qualche importanza.
Crediamo infatti che la pubblicazione sulle riviste e sui siti letterari sia oggi per un autore quasi un passaggio obbligato prima di proporre la propria opera a un editore: per la prima volta infatti ci si confronta con il mondo editoriale, seppure quello di confine, e si impara a lavorare effettivamente a stretto contatto con quelle strane figure (per un emergente) degli editor – anche perché molti editor che collaborano o gestiscono determinate riviste sono poi gli stessi di alcune ottime case editrici.
YAWP non vuole essere altro quindi che una finestra sul mondo dell’editoria italiana e assieme un laboratorio di scouting letterario”.
Come è nato il libro L’urlo barbarico?
“L’urlo barbarico nasce come una legittimazione dello scouting di cui le parlavo: Ogni anno cerchiamo di allargare, per alcuni autori, l’esperienza della rivista a qualcosa di esterno a noi. In questo caso particolare, parliamo della sezione poetica.
Mi era venuto in mente di raccogliere i testi poetici di alcuni tra gli autori che pubblicarono su YAWP nel biennio 2015-2016 e nei quali avevo intravisto qualcosa di più, cioè una maggiore consapevolezza rispetto ad altri di uno stile personale (e originale).
Tuttavia, invece di creare una comune antologia (che purtroppo per molte case editrici oggi è un modo obbligato per fare cassa, ma che risulta troppo dispersivo secondo me per una felice fruizione degli autori inseriti) abbiamo dato vita a una raccolta di raccolte.
Vale a dire che ogni autore ha una propria sezione con titolo e cerca di dare vita a qualcosa di compiuto. Abbiamo poi cercato di fare qualcos’altro: ho chiesto cioè a ciascun autore di utilizzare uno pseudonimo. Questo perché sono convinto dell’esigenza di una poesia che trasformi l’io in un più ampio noi lirico.
Ecco allora che ogni raccolta in qualche modo completava, ampliava o deformava quella precedente. Il primo e l’ultimo autore della raccolta hanno deciso invece di utilizzare il loro vero nome. Questo perché volevamo che L’urlo barbarico fosse solamente un tentativo fallimentare, ma pur sempre un tentativo: la raccolta si apre cioè con un io lirico identificato, si spersonalizza e poi alla fine cade di nuovo in questa trappola.
Ma per tornare al verso di Verlaine: ciò che mi stupì mentre raccoglievo il materiale è che la prima poesia della raccolta (composta da un autore di una generazione più grande di quella degli altri) e l’ultima si ritrovano a parlare delle stesse cose. E questo senza che i due poeti avessero mai parlato tra di loro al momento della composizione: una specie di passaggio generazionale che però non esiste affatto. La raccolta è stata poi pubblicata nel 2017 con la casa editrice Le Mezzelane e una prefazione del critico e professore universitario Francesco Muzzioli”.
Secondo lei, nella società di oggi molto più simile alla città di Metropolis che alla Scuola di Atene, cosa vuol dire farsi portatore di un’arte come la poesia?
“Quando si prova a rispondere a una domanda come questa si dice quasi sempre una sciocchezza: perciò proveremo a scherzarci sopra. Ecco io credo che quando ognuno di noi pensa lo fa o tramite delle immagini o parlando da solo in silenzio.
Se l’ipotesi di Sapir-Whorf venisse prima o poi confermata, o magari sviluppata, ci accorgeremmo di come solo con le immagini l’uomo è in grado di sentire universalmente.
La poesia cerca di fare qualcosa di più: prova cioè a mescolare il linguaggio (inteso come lingua del poeta e quindi come qualcosa che determina il suo pensiero a priori) e le immagini per farne un tentativo di comunicazione ulteriore.
Ma una risposta del genere certamente non basta per chiedere alle persone di fare sopravvivere la poesia: ci sarebbe bisogno purtroppo di una componente materica”.
Progetti per il futuro?
“Per quanto riguarda il lavoro con la rivista, nel 2018 grazie alla collaborazione con Patria Letteratura di Matteo Chiavarone siamo partiti con i Quaderni Barbarici.
Ogni mese cioè pubblicheremo le poesie di un particolare autore che pensiamo debba essere tenuto d’occhio e che sia in qualche modo entrato in contatto con YAWP durante l’anno precedente.
Ma devo dire che anche per le altre sezioni abbiamo delle sorprese. Se invece la domanda era rivolta esclusivamente a me, sto per terminare una raccolta di poesie e una di racconti. Staremo a vedere”.