Intervista a Dominique Manotti
Dominique Manotti nasce a Parigi nel 1943, da sempre militante sindacale nella Confédération Française Democratique du Travail, insegna Storia dell’economia all’Università di Parigi.
In Italia ha pubblicato numerosi romanzi fra cui Il sentiero della speranza (Sellerio) Oro nero (Sellerio) e Il bicchiere della staffa, primi due romanzi della trilogia che ha come protagonista il commissario Daquin.
Nell’ottobre 2004 uscirà anche il titolo che chiude la serie, intitolato Kop.
Ecco qua l’intervista a cura del nostro collaboratore Fausto Bailo che ringraziamo insieme alla Premiata Libreria Marconi di Bra (Cuneo)
Quando è nata il lei la passione per la scrittura?
“Passione non è il termine esatto: ho sempre scritto dei testi politici, dei testi storici. Allora avevo la passione per la politica e la passione per la storia piuttosto che per la scrittura. Avevo anche la passione per la lettura di romanzi noir o non, francesi e americani essenzialmente. Poi l’arrivo di Mitterand al potere in Francia (1981) mi sembrò segnare la fine della politica come io la concepivo e al termine della scomparsa annunciata della sinistra in Francia. Ho dunque smesso di militare, a partire dal 1982-1983. Poco a poco ho riscoperto la forza della scrittura. E nel 1993 dopo la lettura di Ellroy, ho deciso, a mia volta di tentare. La scrittura occupa oggi, un posto molto importante nella mia vita. Ma io esito ad usare il termine “passione” per definire il rapporto che ho con la scrittura”.
Quali scrittori l’hanno influenzata maggiormente?
“I romanzieri francesi del 19° secolo dapprima senza dubbio Balzac prima di tutto, ma anche molti altri: Dumas, Stendhal, Maupassant, ecc. In seguito gli americani in prima: Dos Passos per i romanzi noir, Dashiell Hammett e Ellroy. Ma non resisto al piacere di dire che il “La Guerre des Gaules” di Giulio Cesare, letto e studiato durante l’adolescenza mi ha certamente molto influenzata per il suo stile”.
Quale è stata la scintilla che l’ha portata a scrivere Il sentiero della speranza?
“Ero la segretaria dell’Unione dipartimentale interprofessionale di Parigi presso la Confédération Française Democratique du Travail, durante tutta la lotta dei clandestini del Sentier (quartiere della formazione) a Parigi nel 1980. A questo titolo ho seguito, sostenuto, aiutato in tutte le maniere questa lotta durata sei mesi. Sono i miei ricordi più calorosi dei miei anni come sindacalista. 13 anni dopo, ho deciso di scrivere un romanzo, questo non poteva che chiamarsi “Le Sentier”.
Il suo romanzo vuole essere anche una cronaca intellettuale, storica, politica degli anni Ottanta?
“No, non negli anni 80, ma negli anni 70, quelle della lotte sindacali impegnate e creative. Nel mio modo di vedere, questa lotta dei lavoratori del Sentier è l’ultima lotta degli anni 70. Si entra, in seguito, a partire dal 1981 negli anni del neoliberalismo, gli anni del denaro”.
Come è nato il personaggio Théodore Daquin?
“Il personaggio Daquin è nato essenzialmente dal quartiere del Sentier lui stesso. Nei laboratori c’erano uomini, non una donna. Un luogo di uomini fra di loro, di amicizia virile, molto calore umano e molta violenza. Un quartiere totalmente fuori dalla legge, 11.000 lavoratori clandestini concentrati in un piccolo quartiere, ma nello stesso tempo con proprie regole di funzionamento. Daquin è tutto ciò, caloroso, seducente e violento. Sovente al margine della legalità, brutale, duro ma anche attento a rispettoso della libertà di Soleiman, alla fine del libro”.
Quale genere musicale rappresenta meglio Daquin?
“Daquin ama il jazz di quegli anni, ama Thelonius Monk, John Coltrane (nella foto a sinistra), Charlie Mingus”.