La deportazione diventa un disco: Temuto come grido, atteso come canto

La deportazione diventa un disco: Temuto come grido, atteso come canto

Michele Gazich (fotoPaolo Brillo)

Michele Gazich è un noto e poliedrico artista della scena europea, musicista, compositore, poeta, produttore discografico con la sua etichetta FonoBisanzio.

 

Vanta una serie di collaborazioni sia con artisti italiani che con cantautori statunitensi. Per fare qualche esempio Eric Andersen e Mary Gauthier con la quale, da pochissimi giorni, ha terminato un tour in terra americana (con l’album Rifles e Rosary Beads, candidato al Grammy Awards 2019 per il Miglior album Folk).

 

Il suo ultimo disco, uscito di recente, è Temuto come grido, atteso come canto. Questo nuovo ciclo di canzoni racconta, per la prima volta, la storia degli ebrei rinchiusi, come malati o pazzi, sull’isoletta di San Servolo, un puntino di terra nella laguna veneta. Molti morirono lì, altri furono poi deportati nei campi di concentramento.

 

La pubblicazione avviene in concomitanza dell’ottantesimo anniversario delle leggi razziali (settembre 1938) e l’album viene presentato in anteprima al Museo Ebraico di Venezia il 2 settembre, Giornata Europea per la Cultura Ebraica.

 

Sabato 22 dicembre alle ore 17:00 il negozio braidese Cuordivinile Record Shop festeggia il primo anno di vita ospitando proprio il cantautore che presenterà il suo nuovo album.

Ringraziamo Fausto Bailo e Cuordivinile Record Shop di Bra (Cn) che hanno reso possibile questa intervista esclusiva.

Quando è scattata la scintilla che l’ha spinta ha realizzare il disco Temuto come grido, atteso come canto?

“Il disco contiene undici canzoni, storie di ebrei deportati dall’isola di San Servolo davanti a Venezia 11 ottobre del 1944.
La scintilla è scatta nel ottobre 2017, quando sono stato ospite dell’Università di Venezia e di altre istituzioni per un intero mese sull’isola di San Servolo; lì ho avuto modo di avere un contatto quotidiano con l’archivio storico. Premetto che le tematiche ebraiche legate alla deportazione e/o di approfondimento storico, hanno sempre percorso il mio lavoro e quindi mi è sembrata la conclusione naturale raccogliere tutto ciò che avevo appreso in quel mese sull’isola”.

Quanto è stato difficile, straziante, far rivivere le storie delle persone che, loro malgrado, vissero soffrirono

Isola di San Servolo- Venezia

e morirono nell’isola dell’ignominia?

“Più che altro, è qualcosa che mi porto ancora dentro e che ha cambiato la mia vita. Attraverso lo studio di quell’archivio, più che narrare le sofferenze e la deportazione (grandi scrittori lo hanno già fatto e molto meglio di come lo potrei fare io), ho cercato di incontrare queste persone attraverso le loro cartelle cliniche.

 

Al di là della loro morte, mi sono concentrato su come vivevano quando erano ancora sull’isola. La cosa sconvolgente è stata che il direttore del manicomio utilizzava queste cartelle cliniche in maniera assolutamente non clinica. Dentro ci sono per lo più i suoi personali sfoghi e raccontini antisemiti. Lui coglie lo spunto della clinica per scrivere tutto ciò e devo purtroppo dire che ho trovato materiale incredibilmente fecondo. Questa esperienza mi ha molto più che turbato, mi ha cambiato la vita”.

Quanto tempo è stato necessario per la realizzazione del disco?

Il grosso delle canzoni sono state proprio scritte in quel mese sull’isola, io tra l’altro ho delle modalità di scrittura di solito complesse e lunghe, nel senso che ci metto anni, e quindi stata è stata una circostanza particolarissima. Risiedere per un mese nello stesso luogo, cosa che nella mia vita non avviene mai, dato che sono sempre in giro a suonare, è stata poi un’altra cosa insolita. Il periodo sembra poco, ma in realtà è stato tanto, perché quando si annulla ogni affanno quotidiano, alla fine il tempo si dilata a dismisura, tanto che questo mese mi è sembrato lunghissimo.

Paradossalmente c’è voluto di più , un altro anno, per rielaborare, capire meglio ciò che avevo scritto e aggiungere il brano  Mal ta me nato a posteriori, dopo che me ne ero andato dall’isola. Una canzone scritta nella parlata degli ebrei di Venezia, una lingua che la violenza dei carnefici ha pressoché cancellato ed io ho pensato che le parole devono essere dei mattoni per le canzoni casa di memoria, per questo l’ho riutilizzata”.

Torquemada, il grande inquisitore

Ci descriva il direttore della struttura, personaggio che lei chiama Torquemada come l’altro tristemente noto dell’inquisizione spagnola , e che dà anche il titolo ad un brano musicale.

“Il crudele direttore del manicomio a cui accennavo, quello che utilizzava la cartella clinica per questi suoi sfoghi antisemiti, ha la canzone Torquemada, appunto. In realtà è una sorta di non-canzone costruita solamente accostando pezzi della cartella clinica di una delle sue vittime preferite. Ho chiamato il direttore del manicomio Torquemada, perché certamente quell’isola fu la sua spagna ed eliminò qualunque ebreo presente nella struttura“.

Secondo lei nella società di oggi c’è ancora il risciò che nascano nuove strutture di questo genere?

“Quest’anno ricorre in quarantesimo anniversario della legge Basaglia, ma certamente siamo ben lontani dall’avere eliminato totalmente questo tipo di strutture. Ci sono anche libri sconvolgenti, cito per esempio quello della psichiatra Anna Poma che parla di casi evidenti di contenzione, di violenza che avvengono ancora oggi”.

Conta di presentare questo disco anche nelle scuole?

“Si l’ho fatto, e lo farò ancora. Ho cercato di presentarlo, oltre che in alcune comunità e nei teatri, anche in sedi istituzionali, l’abbiamo portato anche a Palazzo Marino ed è stata una situazione che sembrava uscita da un film di Luis Buñuel vedere i frequentatori dei miei concerti seduti negli scranni degli assessori e dei consiglieri comunali. Siamo stati anche al Museo Ebraico di Venezia in quanto luoghi di memoria e con un significato quasi istituzionale “.

Progetti per il futuro?

“Il futuro non è mai chiaro. Ero nuovamente a Venezia la settimana scorsa, anche se l’album è finito, ma negli ultimi anni ad ho lavorato a un album che ho portato in tuor ancora più intensamente del mio, dove ho collaborato parecchio con la cantautrice statunitense Mary Gauthier. Anche li, ogni canzone è un esser umano, sono brani che lei ha scritto con i soldati americani reduci dai vari fronti, un disco contro le guerra, che dimostra i disastri dall’interno.

Il disco ha ricevuto la nomination al Grammy pochi giorni fa e sarà portato in tour anche l’anno prossimo. Sia questo album che si intitola Rifles and Rosary Beads (Fucili e grani di rosario) che il mio, hanno ancora un percorso da fare nell’anno nuovo”.

Come è stato accolto questo disco negli Stati Uniti?

“È stato particolarmente interessante portarlo in tour, abbiamo fatto più di 140 concerti. Bellissima l’accoglienza, ma anche molto importante è stato che una significativa parte dell’America che non la pensa come il suo Presidente, si sia raccolta intorno a noi in questi concerti. Molto rappresentativo il fatto che abbiamo suonato dei luoghi dove molti anni fa è nato il libero pensiero in America, per esempio a Berkeley in contesti connessi con l’università”.

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