Intervista allo sceneggiatore di Il fotografo di Mauthausen

Intervista allo sceneggiatore di Il fotografo di Mauthausen

In memoria di tutti coloro che hanno perso la vita o hanno sofferto a causa della follia nazifascista, pubblico con piacere questa intervista… (tradotta anche in spagnolo)

Qualche settimana fa abbiamo pubblicato l’intervista a Pedro J. Colombo, illustratore della graphic novel Il fotografo di Mauthausen (Historica Mondadori) sceneggiata da Salva Rubio.

https://www.dianoratinti.it/il-fotografo-di-mauthausen/

Come promesso, Fausto Bailo, in collaborazione con la Premiata Libreria Marconi di Bra (Cn), ha intervistato per noi anche Salva Rubio. Sentiamo cosa di dice…

Quando ha sentito parlare per la prima volta della breve ma intensissima vita di Francisco Boix?

Salva Rubio

Salva Rubio

“La prima volta che ho sentito parlare di Francisco Boix è stato attorno al 2007, quando trovai un libro di uno storico spagnolo, Benito Bernejo, su di lui. Fino ad allora non sapevo che ci fossero stati degli spagnoli nei campi di concentramento tedeschi il che mi incuriosì e volli sapere in quali circostanze vissero e morirono.
Quando lessi il libro divenni conobbi l’incredibile vita di Francisco Boix e dell’impresa che realizzarono durante il furto delle fotografie, ed il finale, degno di un film, a Norimberga.
Da allora lessi tutto quello che ho potuto sulla deportazione spagnola e l’idea di raccontarla in un film o in un fumetto prese forma nella mia mente”.

Quanto è stato complesso realizzare una sceneggiatura che narrava le immani violenze compiute contro persone che avevano la sola “colpa” di professare una fede politica diversa, una religione diversa?

“La complessità maggiore è stata quella di trovare un compromesso tra il rispetto dovuto alla memoria delle vittime e la necessità di inventarsi una parte della storia dato che non tutti gli aspetti della stessa erano in egual misura conosciuti.
Anche a livello emotivo è stato difficile scriverlo, perché come scrittore uno è continuamente consapevole delle ingiustizie commesse dall’odio e l’intolleranza. E vedere che nel mondo odierno ciò continua ad accadere rende ancor più difficile tornare alla realtà dopo aver scritto”.

Ogni 27 gennaio del 1945 il mondo scopri gli orrori indicibili compiuti dentro il campo di concentramento di Auschwitz, secondo lei il fuoco della memoria storica è sempre vivo?

“Credo che il mondo cambiò quel giorno, sì. Semplicemente perché le atrocità della guerra, che sono sempre esistite, si palesarono al mondo in maniera particolare, grazie alle fotografie, alla testimonianza dei sopravvissuti ed ai molteplici libri e film che hanno poi affrontato l’argomento.

La differenza ovvia in questo caso e che le vittime non furono “semplici danni collaterali” di bombardamenti ed attacchi, ma che venne creata un apparato di concentramento funzionale allo sterminio sistematico. Credo esista solo un altro orrore simile come perversione, e sono le armi nucleari e di distruzione di massa, ed entrambe vennero utilizzate sul finir della guerra. E’ come se il mondo, da allora, abbia perso ogni possibilità di innocenza”.

Risposta all'ultima domandaPer l’immaginario collettivo quale fotografo può essere paragonato a Francisco Boix? Facendo un esempio Robert Capa fotografo della guerra di Spagna, secondo conflitto mondiale…

“E’ una domanda alla quale è molto difficile rispondere, soprattutto perché per Francisco Boix la fotografia no era propriamente la sua professione.

 

Si conoscono appena i suoi lavori precedenti (fotografie dal della Guerra di Spagna), quelle che scattò durante la liberazione da Mauthausen e, naturalmente, nei giornali Regards o L’Humanitè ci saranno innumerevoli fotografie sue che, per quanto io sappia, non sono state ricercate. Quindi è difficile sapere che tipo di fotografo fosse ma, suppongo, uno di strada, umanista e legato alla classe operaia.

 
Tuttavia, visto che citi Capa, c’è un aneddoto curioso: è possibile che Francisco e lui si fossero incrociati in un’occasione e che di fatto Capa fotografasse Francisco senza saperlo. Esiste una foto che Capa scattò alla frontiera franco-spagnola che mostra una colonna di repubblicani esiliati che seguono un gendarme francese. Il primo di loro sorride al “compagno” fotografo: molti esperti hanno identificato questo uomo come Francisco. Il gesto, senza dubbio, si addice al personaggio”.

Entrevista en español.

¿Cuándo ha escuchado por la primera vez hablar de la breve pero intensa vida de Francisco Boix?

“La primera vez que oí hablar de Francisco Boix debió ser en 2007 aproximadamente, cuando encontré un libro del historiador español Benito Bermejo sobre él. Hasta ese momento, no sabía que había habido españoles en campos de concentración alemanes y tuve mucha curiosidad por saber en qué circunstancias habían vivido y muerto.

 
Cuando leí el libro fui consciente además de la increíble vida de Francisco Boix y de la hazaña que realizaron durante el robo de las fotografías, y el final, digno de una película, en Nuremberg.Desde entonces, leí todo lo que pude sobre la deportación española y la idea de contar la historia en cine o comic tomó forma en mi mente”.

¿Cuánto ha sido complicado realizar un guión que contara las enormes violencias cometidas contra personas cuya única “culpa”era profesar una diferente fe política, una diferente religión?

“La mayor complicación ha sido llegar a un compromiso entre el respeto debido a la memoria de las víctimas y la necesidad de ficcionalizar algunas partes de la historia, dado que no todos los datos eran igual de conocidos.
A nivel emocional también fue duro escribirlo, pues como escritor uno es consciente continuamente de las injusticias cometidas por el odio y la intolerancia. Y ver que en el mundo actual esto sigue ocurriendo hace aún más duro volver a la realidad después de escribir”.

El 27 de enero de 1945 el mundo descubrió los horrores indescriptibles cometidos dentro del campo de 1515103241Historica_special_mauthausen_0051064 concentración de Auschwitz. ¿Piensa usted que el fuego de la memoria histórica siga siendo vivo?

“Creo que el mundo cambió ese día, sí. Principalmente porque las atrocidades de la guerra, que siempre han existido, se hicieron particularmente patentes al mundo gracias a la fotografía, al testimonio de los supervivientes y a los múltiples libros y películas que han tratado el tema.

 

La diferencia obvia en este caso es que las víctimas no fueron “simples” “daños colaterales” de bombardeos y ataques, sino que se creó una maquinaria concentracionaria destinada a la exterminación sistemática. Creo que solo hay un horror similar en perversidad, y son las armas nucleares y de destrucción masiva, y ambas fueron utilizadas al final de la guerra. Es como si el mundo, desde entonces, hubiese perdido toda posibilidad de inocencia”.

¿Para la imaginación colectiva qué fotógrafo se puede comparar a Francisco Boix? Ejemplo: Robert Capa fotógrafo de la guerra de España, segunda guerra mundial.

“Es una pregunta muy difícil de contestar, precisamente porque a Francisco no se le desarrollar la fotografíá como profesión. Se conoce vagamente su obra anterior (fotografías del frente de la Guerra de España), las que tomó tras la liberación de Mauthausen y por supuesto, en los periódicos Regards o L’Humanité debe de haber incontables fotos suyas, que hasta donde yo sé, no se han investigado. Por tanto, es difícil saber qué tipo de fotográfo era, pero apostaría a que uno callejero, humanista y apegado a los obreros.

 
Sin embargo, y ya que citas a Capa, hay una anécdota curiosa: es posible que Francisco y él se cruzaran en una ocasión, y que de hecho Capa fotografiase a Francisco sin saberlo. Existe una foto que Capa tomó en la frontera franco-española que muestra una columna de republicanos exiliados siguiendo a un gendarme francés. El primero de ellos sonríe al “compañero” fotógrafo: muchos expertos han identificado a este hombre como Francisco. El gesto, sin duda, iba con su carácter”.

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