Intervista all’illustratore Ivan Canu
Questa volta Fausto Bailo, il nostro insostituibile collaboratore, con l’aiuto della Premiata Libreria Marconi di Bra (CN) ha intervistato un volto nuovo dell’ illustrazione: Ivan Canu.
La recente pubblicazione La storia del comunismo in 50 ritratti (edito Centauria e rappresentato dall’agenzia Salzman International) di Paolo Mieli è stato, infatti, illustrato da lui.
Un libro che ripercorre la rivoluzione d’Ottobre passando poi per la II guerra mondiale e arrivando sino al XX congresso dell’URSS, la rivoluzione Cubana, la Rivoluzione di Velluto in Cecoslovacchia e la fine dell’esperienza comunista con il crollo del Muro di Berlino. Tutti gli uomini che segnarono questa incredibile esperienza, (umana, sociale, politica) sono magistralmente ritratti: da Lenin a Gorbaciov, da Castro a Ho Chi Minh, da Picasso a Calvino.
Ivan Canu dal ’96 lavora a Milano come illustratore, critico e scrittore. È stato graphic designer della Fondazione Internazionale Balzan e della rivista Hystrio. È autore di libri per l’infanzia editi in Italia, Francia, Giappone, Cina, Corea; ha scritto per La Repubblica, Corraini, Salani. Dal 2009 è direttore del Mimaster Illustrazione di Milano e curatore dell’Illustrators Survival Corner per la Bologna Children’s Book Fair. Fra i suoi clienti: The New York Times, The Boston Globe, Die Zeit, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, Yahoo.com, The Courrier International, Handelsblatt, Salani, De Agostini, Feltrinelli. È stato premiato dalla Society of Illustrators di New York, American Illustration, Creative Quarterly, Communication Arts, 3×3.
Quando è nata in lei la passione per l’illustrazione?
“Mia madre ricorda che io abbia sempre disegnato, citando come inizio un concorso del quotidiano sardo La Nuova Sardegna al quale mandarono un mio disegno -avevo 4 anni- che rappresentava soluzioni creative alla crisi energetica dei primi anni ’70 (quella che portò alla nota “austerity”).
Mi premiarono con un libro di racconti di Tolstoj (di cui avrei molti anni dopo illustrato le copertine per Feltrinelli). Era un topo che da una pompa di benzina metteva acqua nell’auto. Un segno del futuro che mi avrebbe visto illustratore e mai patentato. Fuori dall’aneddotica, l’idea di diventare illustratore professionista è venuta negli ultimi anni di università, quando già disegnavo per mio conto personaggi per storie che scrivevo, piccoli fumetti da temi letterari (Medea), ritratti.
Un incontro con un editor della Vallecchi mi suggerì di continuare su quella strada, poi nel corso dell’estate di tregua fra la consegna della tesi in Storia del teatro contemporaneo e la laurea, feci amicizia con Bruno Enna (gran sceneggiatore di fumetti, anche lui sardo) e mi spinse ad andare con lui a Milano per frequentare i corsi pomeridiani di Illustrazione della Scuola del Fumetto. Lì, a contatto col disegno per tutto il giorno, conoscendo illustratori come Gianni De Conno e Marcella Brancaforte, ho deciso che sarebbe stata una delle mie professioni (dato che a 24 anni ero nella redazione della rivista di spettacolo Hystrio, nella quale ho lavorato per oltre 8 anni).
La conferma che avrei dovuto fare questo lavoro con serietà e dedizione l’ho avuta lavorando con Ferenc Pintér nei suoi ultimi 10 anni di vita, commissionandogli alcune copertine di Hystrio e soprattutto trascorrendo ore nel suo studio a parlare di ogni cosa, film, teatro, religione, politica, storia e anche illustrazione. Lo considero il mio maestro e gli ho in parte dedicato questo ultimo libro scritto da Paolo Mieli.
Quando è entrato a far parte del progetto per la realizzazione di La storia del comunismo in 50 ritratti?
“Nel novembre 2017 mi ha contattato Balthazar Pagani, nuovo publisher di Centauria, che conosceva il mio lavoro di ritrattista per Il Sole 24 Ore; mi ha proposto di mostrare alcuni ritratti a Paolo Mieli, per realizzare un libro storico illustrato sulla storia del comunismo, ispirato al suo spettacolo “Era d’Ottobre”.
Si parlava di un’ipotesi, il direttore editoriale non ne aveva ancora accennato a Mieli, né era ancora sicuro che sarei stato io l’illustratore scelto. Ma parlammo già di proposte economiche, contratti, soluzioni stilistiche, tempistiche. È stato durante le vacanze di Natale che Balthazar mi ha confermato che Mieli aveva accettato la proposta e che aveva richiesto che fossi io l’illustratore, essendogli piaciuti i ritratti. Tra fine Dicembre e i primi di Gennaio abbiamo discusso tutti i dettagli e dal 7 di Gennaio siamo partiti con i primi ritratti, Dubcek e Gramsci”.
E’ stato complicato racchiudere la vita politica di una persona dentro una illustrazione?
“Quando mi è stato proposto il libro, con Balthazar abbiamo parlato molto dei riferimenti culturali e uno dei fattori che credo abbia giocato a favore del mio coinvolgimento, è stato anche l’avere una cultura umanistica. È un lavoro complesso, quello del ritratto.
Non solo per il comprensibile richiamo alla fisionomia, all’anatomia, alla tecnica le quali, nel post-modernismo dell’arte, sono tutti fattori opinabili e de-strutturabili. Perché ogni ritratto contiene un’interpretazione di una storia, di un momento specifico (che non necessariamente coincide con quello degli scatti fotografici a cui ci si riferisce, se non si ha il soggetto di fronte) e di una intima adesione di chi ritrae al soggetto ritratto e nello stesso momento, un distacco a-sentimentale, uno sguardo clinico. In questo progetto, essendo tutti i protagonisti personalità storiche e storicizzate, della politica, della cultura, dell’arte e ognuno diversamente legato all’ideologia comunista o nei suoi bagliori o nel suo tramonto, il fatto di conoscere quel contesto, di averlo studiato e di averne poi approfondito alcuni aspetti, mi ha offerto una delle chiavi di lettura.
Mieli lavorava in contemporanea all’introduzione storico-critica e alle schede, perciò io non avevo a disposizione la sua “lettura”, ma solo la mia. Da un lato questo mi ha lasciato libero, dall’altro ha messo a rischio la coerenza del progetto (la sindrome del “tema libero” di scolastica memoria), per quanto a tutti noi fosse chiaro che nessun ritratto sarebbe stato uguale all’altro. Forse nessuno aveva davvero programmato quanto diversi sarebbero stati alla fine. Per alcuni personaggi ho attinto alle avanguardie artistiche (il suprematismo di Maleevich per Lenin, la grafica di Lissitzky per Majakovskij, le incisioni espressioniste per Rosa Luxembourg, Dada e il Surrealismo per Aragon, il cubismo sintetico per Dolores Ibarruri), altri invece sono stati un omaggio alla storia della grafica e dell’illustrazione (Carrillo ai manifesti politici degli anni ’30, Che Guevara a Milton Glaser, Lumumba a Saul Bass, PolPot a Mike Mignola, Thorez a Cassandre).
Poi ci sono riferimenti più o meno palesi o nascosti, che il lettore può cercare, supporre, ignorare: il carretto che contiene la bomba che scoppierà in via Rasella, dietro il ritratto di Amendola, Brecht dentro la scenografia di Vita di Galileo nell’edizione milanese di Strehler, i microfoni-fucile davanti allo spettrale Ceausescu, la bottiglia rotta accanto alla poltrona dove siede Deng Xiao-Ping, Di Vittorio che guida un nuovo Quarto stato. E così via. Per alcuni è stato divertente essere irriverenti: Calvino sui tetti come il suo Barone, Castro come una laicissima apparizione in un cuba libre rovesciato, la Davis che rivoluziona la bandiera americana, la voglia di URSS distrutta sulla pelata di Gorbaciov, la fierezza del pugno alzato di Ingrao o la V di Jaruzelsky ormai borghese e dimenticato, i colori pop esagerati della dinastia Kim in un paesaggio quasi post-atomico, Krusciov sotto il monumento abbattuto di Stalin a Budapest, Mao che nuota in un fiume giallo d’oro, Togliatti davanti al cartello che pubblicizza la cittadina a lui dedicata, Visconti che guarda nostalgico Tadzio che leva il pugno invece che il braccio steso all’orizzonte.
Con Zdanov mi son divertito, era l’ultimo ritratto e lui è il personaggio che, se lo si chiede in giro, nessuno conosce.Perciò, unite i puntini per vedere com’era l’uomo a cui Stalin aveva affidato tutta la musica, il teatro, il cinema, la cultura sovietiche e ne disponeva con il terrore. Alla fine, sento questo libro come una sintesi di anni di scuola, formazione, letture, passioni, professioni. Come ogni opera, alla fine ci appartiene solo nel momento in cui la facciamo, poi comincia ad essere anche del pubblico, che le darà una nuova forma, un’interpretazione diversa dalla nostra, un significato e contenuti da noi non previsti. È la ragione per la quale si spera che alcune opere restino più a lungo di altre, perché quando gli autori se ne distaccheranno, altri ci si affezioneranno. A me interessa pochissimo la nozione di immortalità dell’arte, quanto invece la sua durata”.
Quale tecnica grafica predilige utilizzare per la realizzazione delle sue illustrazioni?
“Lavoro sempre in digitale, disegnando direttamente con la tavoletta grafica sul mio portatile, usando molte immagini come referenze e scomponendo e ricomponendo parti diverse. Tutto è disegnato e ri-disegnato, per quanto mi piaccia il segno realistico e a volte l’apparenza fotografica.
Non uso il vettoriale, neppure quando l’esito è molto grafico e preciso: mi piace usare Photoshop come assemblatore, poi dipingo in digitale con Corel Painter, scegliendo carte, pennelli, cromie come se lavorassi ad acrilico o con campiture piatte. Per i primi 10-15 anni del mio lavoro, ho usato molte tecniche diverse, mi sono affezionato allo scratch-board o grattage per il bianco e nero più incisorio e all’acrilico per tutto il resto.
La transizione al digitale è stata curiosità prima, poi ottimizzazione e necessità. Ora mi è inconcepibile fare un lavoro tornando al tradizionale, vivo volentieri il mio tempo nella rapidità d’esecuzione: il lavoro di illustratore è di risolvere problemi. Se poi la passione del “gesto” rimane, metter mano ai pennelli, alle matite, alle sgorbie è qualcosa che torna e viene destinato al piacere della lentezza”.
Quanto tempo è stato necessario per la realizzazione delle sue illustrazioni?
“La sfida del libro è stata realizzare 50 illustrazioni in 50 giorni. Lavoravo ogni giorno ad un ritratto nuovo, dall’inizio alla fine e, non essendo il solo lavoro che faccio, per ogni ritratto mi sono dato un tempo variabile fra le 6 e le 8 ore. A questo si è aggiunto che, per non saper tenere la bocca chiusa, ho proposto di fare il ritratto di Paolo Mieli in quarta (invece che la classica foto) e di realizzare gli spot illustrati della copertina, per coerenza stilistica. Ars longa, vita brevis”.
Citando l’opera più celebre di Omero, L’Odissea, quale delle personalità da lei ritratte potrebbe paragonare ai personaggi della storia?
“È complesso fare una comparazione del genere, fra un’opera poetica e personaggi storici contemporanei. Ma stando al gioco, vedendo che Ulisse ha in sé molte personalità, a ciascuna di queste si può accostare (non assimilare) più d’un personaggio.
All’uomo scaltro “dalle molte astuzie” associo sia Lenin che Stalin, le due facce d’ombra del Comunismo sovietico; all’astuto guerriero forse Trotzkij o Tito; a colui che resiste a molti mali, Gramsci e Bordiga. Che Guevara e Castro come Patroclo e Achille; ma Castro andrebbe bene anche per Agamennone, il grande re; Breznev e Kruscev come Polifemo; Penelope è la Ibarruri, che ha lottato e atteso tutta la vita; Circe è la Davis, potente, terribile, bellissima; Ho Chi Minh potrebbe essere Alcinoo re dei Feaci, creatore di un’utopia e poeta; Neruda e Jara sarebbero gli aedi alla corte di Itaca, testimoni delle perfidie dei Proci e in attesa che torni il legittimo re; Lumumba come il povero Astianatte figlio di Ettore, mai re e macellato dai nemici… forse il gioco mi ha preso la mano”.
Tra la varie personalità del mondo della cultura, della scienza, della politica quale le è piaciuto di più realizzare?
“Ci si affeziona a tutti i personaggi ritratti, anche ai peggiori (umanamente, storicamente). Avendo già raccontato prima di molti dei riferimenti a cui ho attinto, dico solo di quello che mi ha complicato di più la tabella di lavoro, dovendoci dedicare quasi 3 giorni e buttando via almeno 3 diverse soluzioni.
Stalin: non volevo che fosse un ritratto involontariamente celebrativo, come la statuaria socialista o le icone grafiche della rivoluzione. Erano, tra l’altro, modalità già adoperate per altri. Avendo lavorato sull’elenco alfabetico, per rispettare la tempistica di consegne in parallelo con i testi, la “S” era in fondo e avevo un po’ il fiato corto sulle soluzioni.
M’è venuto in soccorso l’approccio “eccentrico”: un giorno, per strada, ho pensato ai tarocchi e mi si è aperta una finestra. Stalin poteva essere la carta 13, la Morte. Ho guardato le foto storiche, quelle meno ufficiali e ho scelto uno dei due scatti della conferenza di Yalta, non quello in cui Stalin guarda, serio e posato, davanti a noi, ma la posa seduta, col cappotto da soldato e la faccia sorridente, di chi tutto ha conquistato e tutti gabbato. Ed eccola lì, la morte rossa che si toglie la maschera del pacioso, rassicurante, benevolo Piccolo Padre”.
Quale genere musicale può rappresentare la colonna sonora di questo libro?
“Io ascolto spesso musica quando disegno, perché mi da un ritmo e mi allontana dalle distrazioni, quasi creandomi una bolla per le ore di lavoro continuativo che mi occorrono.
Questo libro richiedeva poche distrazioni (salvo i momenti in cui dovevo comunque essere presente o ai miei studenti e docenti del Mimaster, oppure ad altri lavori in arrivo e – di solito – urgenti). Quindi, se dovessi riassumere il timbro musicale del libro: Prokof’eev per l’ideologia brillante e ottimista (la suite del Nevskij e di Ivan Groznij), War Requiem di Britten per la fase eroica, il Malipiero delle Sinfonie del silenzio e della morte per la disillusione, lo Shostakovich sinfonico della 8, della 10 e della 15 per la parabola del terrore staliniano e del declino e lo Schnittke dei Salmi per la caduta.
Per il comunismo italiano ascolterei Cuore della Pavone, La Notte di Adamo, Oro di Mango, Senza di me della Oxa, Bella senz’anima di Cocciante cantata da Mina, Re della Bertè, Ah che sarà di Fossati con la Mannoia, L’estate sta finendo cantata da Gennaro Cosmo Parlato, Ritratto in bianco e nero di Mina. Per il comunismo europeo, le rivoluzioni mancate, le illusioni perdute suggerisco Never is a Promise di Fiona Apple. Per gli esperimenti americani e sud-americani, Tainted love dei Soft Cell seguito da Don’t let me be misunderstood dei Santa Esmeralda, Little Lies dei Fleetwood Mac e Sotto il sole dell’Avana di Mina. Per Pasolini, Rain dei Cult. Per la Davis, Total Eclipse of the Heart. Per Jara Durme durme, antica ninnananna sefardita. Per chiudere, associabile ad ogni utopia che svanisce nella banalità, I giovani d’oggi di Ex-Otago”.