Esclusiva intervista a Grazia Verasani
Ancora un personaggio d’eccezione a Letteratura e dintorni…
Dario Villasanta ha intervistato per noi Grazia Verasani (a sinistra) notissima scrittrice e cantautrice italiana, ha collaborato con giornali e riviste, fra cui D di Repubblica, Donna Moderna, Io Donna (Magazine del Corriere), Il Fatto Quotidiano oltre a La Repubblica Bologna con una rubrica fissa per sei anni sulla sezione culturale.
Ho incontrato solo due volte Grazia Verasani, più spesso mi è capitato di leggerla, nei romanzi o sui giornali, e anche di ascoltarla su YouTube quando cantava Devi morire.
Di lei, certo, si conoscono il Premio Recanati, il film di Salvatores tratto dal suo libro Quo vadis,baby? e altre (tante!) imprese artistiche su più fronti – teatro, cinema ecc.
Ma quel che più mi ha stimolato a confrontarmi di nuovo con Grazia Verasani in un’intervista, è stata la sua attenzione per ciò che accade ogni giorno nel nostro paese e la capacità di dire la sua con lucidità e un equilibrio, oltre alla sensibilità che la caratterizza, che onestamente – si può dire? – me la fanno considerare una delle artiste più significative dei giorni nostri, e non soltanto per le sue opere.
C’è una Grazia Verasani che, oltre alle parole scritte dei romanzi, non lesina quelle altrettante intime e sentite sugli argomenti di attualità. Credi in una Letteratura con anche un compito di elevare le coscienze oppure la tua attenzione verso ciò che accade nel mondo va distinto dal tuo ruolo di scrittrice?
I cinque romanzi noir che ho scritto con protagonista l’investigatrice privata Giorgia Cantini rientrano a mio parere nella possibile definizione di letteratura sociale. Nel senso che lo sguardo verso la realtà diventa testimonianza, pur trattandosi anche di indagini esistenziali, morali e sui sentimenti.
Lo sguardo di Giorgia (un po’ il mio alter ego da “Quo vadis, baby?” in poi) assorbe, assimila, rappresenta ciò che vede e sente. Attraverso di lei, cerco di interpretare il tempo reale, di approfondirlo, sospendendo il giudizio, evitando moralizzazioni, ma offrendo spunti di riflessioni.
Questo tipo di romanzo nasce anche dalla mia empatia verso alcuni temi sociali, ed è il ritratto di un’umanità che inciampa, si smarrisce, e diventa epica proprio perché è spesso marginalizzata. Credo che ogni romanzo, anche non noir, debba tendere essenzialmente a fare luce.Ad aiutarci cioè a capire il mondo e noi stessi, a districarci nella confusione (emotiva, sociale) in cui ci arrabattiamo.
Senza sermoni, ma con massima libertà espressiva: elaborazioni fantastiche, simbologie, raccontando storie insomma, anche quando sono storie autobiografiche (c’è qualcuna che non lo è? Ogni autore dice ciò che sa e che è anche quando inventa). La letteratura non si circoscrive. E’ ciondolante, liquida, slabbrata.
Qual è il problema sociale, culturale o umano di oggi che più attira la tua attenzione, e perché?
Ho appena finito di leggere “Le ragazze” di Emma Clinee mi ha stupito che una scrittrice così giovane abbia scritto un romanzo dove non c’è un solo personaggio maschile edificante. C’è una viltà, e una debolezza, in questo controllo del potere da parte degli uomini, che qui è rappresentata spietatamente, e che, oggi come allora (la storia parte dagli anni ’60), sembra ancora non concedere alle donne un vero confronto paritario, anzi.
Mi interessa capire, in tempi di omicidio e stillicidio quotidiano, atavica subalternità, nel lavoro e nella vita di coppia, questo sussistere e, addirittura aumentare, di un recesso culturale che impedisce una ridefinizione dell’identità maschile e femminile.
Mi perdonerai se non riesco a non parlare di gioventù, però credo sia importante. Hai spesso sottolineato come, ancora, resistano concetti sessisti nella nostra società, nella cultura come nel lavoro, e non solo. Partendo appunto dai ragazzi, secondo te qualcosa si sta muovendo in direzione opposta o siamo veramente così lontani da una società giusta per le donne? Vedi qualcosa di migliore, in loro?
Vedo un mondo diverso da quello che è stato il mio, quando avevo la loro età. Non so dire se il mio era meglio. Spesso si rischia di rimpiangere solo la propria giovinezza. Ho nostalgia, certo, di un momento storico in cui ciò che amavo e che amo era maggiormente considerato, in cui si parlava di innovazione, controcultura, anticonformismo, originalità, passione, disperazione, gioco di squadra. In cui tutto sembrava avere un sapore più autentico, in cui non esisteva la parola “mediatico”.
Non c’era la competizione di oggi. I furbi, gli artisti della domenica, i ruffiani, erano banditi. Ora non è così. C’è una società che incoraggia i bari e i privilegi di casta. Ci sono clan, non visioni collettive. E ambizioni cieche e smanie di potere che esulano da ogni onestà intellettuale. Insomma, ho il ricordo di un’epoca con meno egocentrismi. Ma non credo negli assoluti, nei gigli bianchi di un purismo impossibile.
E credo che questo nuovo mondo vada analizzato senza preconcetti. E’ bello essere qui e osservare i cambiamenti, cercare di capire e sfruttare al meglio le tecnologie, l’ascolto verso il nuovo, il diverso, mantenere alta la soglia della curiosità.
E a fine intervista, dopo aver letto le sue risposte e percepito ancora una volta il suo coinvolgimento in quello che dice e fa, rimpiango di non aver parlato con Grazia Verasani di tante altre cose e mi posso solo augurare di poterlo rifare presto. (Dario Villasanta)