Maria Rosa Giacon e gli amori di Gabriele D’Annunzio

Maria Rosa Giacon e gli amori di Gabriele D’Annunzio

 

Maria Rosa Giacon  è una delle maggiori esperte di Gabriele D’Annunzio. Tra  le sue pubblicazioni  spiccano la collaborazione al Dizionario delle Opere della Letteratura Italiana per Einaudi e i vari saggi su scrittori italiani quali Fogazzaro, Pascoli, Soffici e Palazzeschi.

Maria Rosa Giacon Tinti Dianora

Fra le tante altre cose ha curato il romanzo L’innocente prima per Mondadori poi per Rizzoli. Ha scritto anche il romanzo Recitare? Che brutta parola, una “intervista” ad Eleonora Duse.

Ho avuto l’onore di conoscerla personalmente e di averla ospite a Quantestorievuoi  la trasmissione che mette d’accordo libri e tv su TV9, condotta da Francesca Ciardiello ed alla quale partecipo come ospite fissa ormai da tre anni (al centro nella foto).

 

Prima di passare all’intervista vera e propria vuoi parlarci un pochino di te?

Posso dire che ho vissuto all’estero, sono una persona curiosa, profondamente attratta dal diverso.

Non a caso, ho sempre amato uomini di altra nazionalità e, su d’un altro piano, non è neppure un caso che mi sia laureata (all’età di 56 anni!) anche in lingue straniere, studiando spagnolo e inglese.maria rosa giacon

Riuscire a comunicare è per me una cosa bellissima. Pur sentendomi profondamente italiana, mi direi cittadina del mondo. Infine, il sofferto che reco dentro di me fortunatamente non mi ha inaridita, al contrario è stato un incentivo a comprendere meglio gli altri. Credo e spero di essere diventata una persona che sa ascoltare.

Tu sei una delle maggiori esperte italiane di D’Annunzio. Come è nata questa passione per il Vate?

Al momento della tesi di dottorato in Filologia. Ero partita pensando di occuparmi di un autore minore del primo Novecento, Guido da Verona, un ebreo suicidatosi in seguito all’uscita delle leggi razziali. Procedendo nel lavoro di ricerca, mi accorsi però che questa figura era troppo esigua per una tesi di dottorato.

Considerato poi che Da Verona aveva subito molto l’influenza di D’Annunzio (l’amore per il lusso, i cavalli e i levrieri ad esempio), dal figlio… risalii al padre. In seguito, la mia passione sarebbe andata al suo magistero linguistico: dopo Dante e accanto a Pascoli, metterei d’Annunzio per ricchezza di vocabolario e capacità linguisticamente inventiva. D’Annunzio domina l’intera diacronia della lingua italiana. Ma più che al romanziere penso al poeta: basterebbe Alcyone per farne un grandissimo.

Secondo te, qual era il segreto del suo successo con le donne? Si innamoravano di lui o f36505fc942451d0273048afb9c2780bdella sua arte?

Direi che s’innamorassero della sua arte, del suo genio e della sua capacità di farle sentire donne, uniche, irresistibili.

 

Il tuo romanzo «Il suo nome è Gabriele». Le vere lettere di Barbara Leoni (1887-1889) , non è una raccolta documentaria. Pertanto, le lettere che hai pubblicato qui sono di tua invenzione: è giusto?

Sì. Le lettere di Elvira Natalia Fraternali coniugata Leoni, questo era il vero nome dell’amante di D’Annunzio, sono andate perdute tranne per un manipolo pubblicato nel 1956 e risalenti all’ultimo periodo della sua relazione con il poeta (1892), e pertanto ormai fuoriuscenti dal tempo della mia storia.

Come vedi dalle date fra parentesi nel titolo,1887-1889, ho ambientato la storia in questi soli due anni.

Il 1887 è l’anno in cui effettivamente i due si conobbero e iniziarono la relazione, mentre il 1889 è quando veramente Elvira-Barbara si recò a San Vito Chietino a trovare Gabriele e i due, nella realtà, passarono giorni di intensissima passione.

l innocente d annunzioAl contrario di ciò che succede nella mia storia, perché qui Gabriele sviluppa nei confronti dell’amante un’ostile freddezza che indurrà Barbara a troncare la relazione, cosa che nella realtà non avviene prima del 1892.

Sempre nella realtà, le lettere di Elvira Fraternali dovevano essere più di 1000, come quelle inviatele dal poeta. Quelle che abbiamo,  rimaste perché da lei conservate gelosamente, non furono mai inoltrate a D’Annunzio, nonostante le insistenti richieste di restituzione da parte di lui.

Era infatti suo uso, lo ha fatto non solo con Barbara ma anche con altre sue amanti, utilizzare il proprio epistolario come una sorta di minuta o di avantesto da rielaborarsi in seguito in forma d’arte compiuta. Incarnazioni d’arte potenziale costituivano poi le donne stesse, in sé e per sé. Non è un caso che D’Annunzio le ribattezzasse secondo il moto della propria ispirazione artistica: così Barbara per Elvira, Foscarina e Perdita per Eleonora Duse, Venturina per Olga Levi, etc.

le vere lettere di barbara leoniMa allora, se queste lettere sono inventate, ossia false, perché le hai chiamate vere?

Beh, un po’ per gusto del paradosso, ma soprattutto vere per i sentimenti che rivelano, lati inconfessati, scomodi e profondi dell’animo di una donna che, dapprima ingenua e fiduciosa, attraverso la sofferenza cresce e acquista coscienza di sé, della propria dignità di essere umano.

Ben altra cosa dal costituire un puro oggetto del piacere maschile o, forse peggio ancora, di “nobile” strumentalizzazione in chiave artistica. Insomma, per certi aspetti il mio sarebbe una specie di Bildungsroman. Certo, qui ho tradito la possibile autenticità storica, perché la Leoni doveva essere orgogliosa del proprio ruolo di musa: è a lei che D’Annunzio molto s’ispira per il personaggio di Elena nel Piacere; a lei per Teresa Raffo e Giuliana Hermil nell’Innocente, o per Ippolita nel Trionfo della morte.

Come è nata in te l’idea di queste lettere vere-false?

Mentre, appunto, stendevo le note per L’Innocente, da me curato per BUR e pubblicato nel 2012. Documentandomiimage_book.php sulla genesi di questo romanzo, avevo ripercorso anche l’epistolario dannunziano e dalle risposte di D’Annunzio m’era parso di percepire il disagio e la sofferenza di Barbara.

L’Innocente risale al 1891, quando l’amore per Barbara o la forte attrazione fisica che questa donna sapeva accendere in d’Annunzio si stava attenuando.

Come già nel caso del Piacere, D’Annunzio scrive L’Innocente lontano da Roma, dove vive la Leoni, ospite a San Vito chietino dell’amico pittore Francesco Paolo Michetti. Dalle risposte di lui si deduce che Barbara lo prega di venire a Roma o di raggiungerla a Torino, dove vive la sorella Teresa, ma lui si nega sempre, adducendo varie scuse.

Indubbiamente, l’amore per la sua arte era per D’Annunzio più forte d’ogni altra cosa. Fatto sta che passerà molti mesi senza vederla, cercando di compensare l’assenza con dichiarazioni verbali. Ma la Leoni, che non era una sciocca, ma donna sensibile e di elevatezza d’animo, se ne sarà accorta e ne avrà sofferto moltissimo. Le parole di D’Annunzio quando le scrive in questo periodo suonano artificiose, si sente lontano un miglio che non rispondono a verità, non si coglie in esse un sentimento vero.

Insomma, l’idea di scrivere la mia storia è nata proprio da qui: da una buona dose di sdegno verso la falsità di Gabriele D’Annunzio e, viceversa, di solidarietà nei confronti di Barbara Leoni.

il suo nome è gabriele  le vere lettere di barbara leoniLo stile di questo romanzo è un po’ particolare…

Naturalmente, per l’esigenza di adeguare il linguaggio a quello del tempo.

Ho agito sul lessico, scegliendo una certa quantità di espressioni ottocentesche, e un po’ anche sulla sintassi, cioè sul movimento della frase, cercando di renderlo più complesso, ma appena un poco: un falso antico, diciamo, perché la struttura di fondo resta moderna. Posso dirti che in questo mi sono divertita e, anche se può sembrarti strano, mi è risultata la cosa più facile.

Aggiungo, per chiudere, che temendo di essere anacronistica, ho letto con grande attenzione anche le poche lettere della Leoni a noi rimaste: l’ho fatto dopo, però, non prima, per non sentirmi influenzata. E, per la verità, la “vera” Barbara non si esprime in modo troppo diverso dalla mia…

Attualmente stai lavorando a qualche altro libro?

Non ancora, però ci sto pensando: l’idea c’è, ma bisogna che maturi fino al punto giusto, ossia fino a quando si faccia strada l’esigenza, forte e indilazionabile, di mettersi a scrivere.

Per concludere, che idea ti è fatta di Gabriele D’annunzio?

Penso che potenzialmente avesse una grande umanità ma che, per quanto riguarda le relazioni umane, specie con le donne, non l’avesse saputa realizzare se non in piccola misura.

Era un sacerdote dell’Arte, interamente votato alla Bellezza, questo sì. Come uomo, il D’Annunzio più vero è quello del Vittoriale, quindi dopo l’impresa di Fiume: ossessionato dai fantasmi della vecchiaia e della decadenza fisica, solo e recluso (guardato a vista dalle spie di Mussolini), dannato dalle memorie della sua passata grandezza (penso alle imprese di guerra: Buccari, Vienna etc.).Questo suscita in me una gran dose di pena e com-passione.

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