Scrivere è pericoloso… parola di Alice Basso
Con grande piacere ospitiamo la nota scrittrice Alice Basso (nella foto a sinistra) che tanto successo sta avendo con le sue storie.
Milanese di nascita, sabauda di adozione, lavora per diverse case editrici come redattrice e traduttrice.
Nel 2015 viene dato alle stampe il suo primo libro dal titolo “L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome” e da quel momento il mondo della letteratura scopre il personaggio di Vani.
Dopo il successo del primo libro, l’anno successivo esce “Scrivere è un mestiere pericolo” . Entrambi i volumi sono editi dalla Garzanti.
Ringraziamo Fausto Bailo che l’ha intervistata per noi e la Premiata Libreria Marconi di Bra (Cn) che, come sempre, ha collaborato fattivamente.
Quando è nata in lei la passione per la scrittura?
Subito. Cioè, appena imparato a scrivere. L’idea che i “pensierini” (presente, no? I mini-componimenti che le maestre ti fanno fare in seconda elementare) potessero essere accostati l’uno all’altro e creare una storia era così affascinante… Il mio primo romanzo lo finii quando avevo dieci anni. Dieci capitoli. I dieci capitoli più sudati della mia carriera!
.. e l’idea di questa storia?
Innanzitutto, io lavoro per svariate piccole case editrici, e l’ambiente editoriale sa essere spesso davvero esilarante, quindi era da un po’ che mi prudevano le dita a caccia di un soggetto che mi permettesse di ambientare una storia in questo contesto, per poterne raccontare i retroscena. Poi mi sono trovata a riflettere sul ruolo del ghostwriter e sul fatto che, in fondo, questa capacità di entrare nella testa dell’autore di turno fa di lui (o lei) il profiler perfetto. Perché non costruire un giallo la cui protagonista facesse appunto questo mestiere?
Descriva con tre aggettivi la protagonista del suo romanzo…
Sociopatica: a Vani la gente non piace, anche se la capisce bene. Dark: Vani si veste sempre di nero, si trucca pesantemente e fa in modo che ogni suo tratto estetico comunichi al mondo “se mi stai alla larga, siamo più felici entrambi, te l’assicuro”. Sarcastica: Vani è schiava della battuta cinica, del commento ironico, della frecciata pungente. Peccato che a volte li pronunci solo per le sue orecchie, circondata com’è da persone che non sono in grado di capirli.
La figura di Vani si ispira al personaggio letteraio di Maigret?
Più che quella di Vani, quella del suo coprotagonista, il commissario Berganza. Che prende da Maigret ma anche (anzi, soprattutto) da Philip Marlowe, e poi anche da Sam Spade, Nero Wolfe, Pepe Carvalho e così via. E’ una sorta di consapevole “frullato” di personaggi dei noir e degli hard-boiled d’antan (il mio modo di omaggiare quella letteratura, che amo moltissimo). Vani è semmai l’alter ego, ma involontario e anche piuttosto seccato per la coincidenza, di Lisbeth Salander.
Come ha preso forma il mix giallo/poliziesco e sublime immersione nella cucina piemontese?
Il fatto è che – lo confesso – io in cucina faccio schifo. E così anche la mia eroina. E cosa c’è di più divertente che far sbuffare Vani mettendola alla prova in attività che lei odia? E poi, intendiamoci: a me cucinare farà schifo, ma mangiare piace tantissimo. Se scrivere un libro con una spiccata componente culinaria significa fare ricerca (come si conviene ad ogni bravo scrittore) e fare ricerca significa mangiare, perché no?
Quale il suo piatto piemontese preferito?
La bagna cauda. E quella vera, con una tonnellata d’aglio. Oddio, ecco, ora che ci ho pensato mi è venuta fame!