L’esordio di Martina Merletti con Einaudi editore

L’esordio di Martina Merletti con Einaudi editore


 

  • Straordinario esordio letterario per Martina Merletti con il romanzo Ciò che nel silenzio non tace, edito Einaudi Editore.

 

1944, carcere Le Nuove di Torino. Una suora prende in braccio il bambino di una prigioniera in transito per Birkenau, lo addormenta con una pezza imbevuta di vino e riesce a portarlo fuori nel carrello della biancheria. Piú di cinquant’anni dopo una giovane donna scopre che quella vicenda la riguarda da vicino, sale in moto e decide di seguirne le tracce. A poco a poco il passato si ricompone, nonostante i molti silenzi e i numerosi depistaggi della Storia: i bombardamenti, l’occupazione nazista, lo sfollamento, gli accidenti del dopoguerra.

  • Ringraziamo Bailo Fausto e la Premiata Libreria Marconi di Bra (Cn) per aver reso possibile l’intervista all’autrice.

Martina Merletti

Martina a quale età ha incominciato a coltivare la passione per la letteratura?

“Credo di aver iniziato molto presto. Prima ancora di imparare a leggere c’è stata la magia dei libri di Leo Lionni, poi, con le elementari, ho sviluppato una sorta compulsione: leggevo con voracità tutto quello che mi capitava a tiro, comprese le insegne e i cartelli stradali che scorrevano fuori dal finestrino.

 

I viaggi in macchina erano una goduria. Mano a mano che prendevo dimestichezza con le lettere sono passata al catalogo del Battello a Vapore e I piccoli brividi per approdare a Roald Dhal e Bianca Pitzorno. Le estati in campagna passate a leggere Il GGG e scrivere le mie prime storie, rigorosamente in stampatello maiuscolo, sono tra i ricordi più vividi che conservo”.

Quali sono stati i suoi libri di formazione?

“Se parliamo di libri dell’infanzia non ho dubbi che Bianca Pitzorno e Roald Dhal siano stati i primi a farmi capire il potere delle storie. In adolescenza ho passato un periodo di grande affezione per la fantascienza con Asimov e sono stata letteralmente folgorata dai racconti di Daniel Keyes e Fredric Brown, rispettivamente Fiori per Algernon e Sentinella. Andando avanti anche la poesia ha ricoperto un ruolo fondamentale: da Ungaretti a Rilke, da T.S Elliot a Mariangela Gualtieri.

Poi sono arrivati alcuni classici come Delitto e castigo e Una stanza tutta per sé e, venendo a tempi più recenti A sangue freddo, Ultimo parallelo, Il popolo dell’abisso, La novella degli scacchi, La famiglia Karnowski, Patria, Eredi della sconfitta, L’ibisco viola, Veniva da Mariupol, Gli anni. Ma ce ne sarebbero a decine e sono sicura che molti altri sono ancora da scoprire”.

Come è avvenuto il suo incontro con la casa editrice Einaudi?

“Silvia Meucci, la mia agente, ha mandato il manoscritto alla casa editrice. Era la fine del 2019 e dopo una prima lettura Einaudi ha chiesto di incontrarmi. Mi hanno fatta accomodare a un grosso tavolo attorno a cui erano sedute quattro persone, tra cui Paola Gallo e Marco Peano, gli editor con cui poi ho lavorato al libro, ma che in quel momento erano completi sconosciuti.

 

Tenevano una copia stampata del manoscritto sul tavolo e dalle finestre entrava la luce grigia di novembre. Quella mattina abbiamo discusso di Ciò che nel silenzio non tace, dei suoi punti di forza e delle sue debolezze. Abbiamo preso le misure e iniziato a piacerci”.

Qual è stata la scintilla che l’ha portata a scrivere Ciò che nel silenzio non tace?

“Tutto è iniziato nel 2015 con una visita guidata al carcere Le Nuove di Torino. Ero al centro del braccio femminile, con i suoi tre piani di celle, quando un volontario dell’Associazione Nessun Uomo è un’Isola ha iniziato a raccontare di suor Giuseppina De Muro, che era stata direttrice di quel braccio.

Raccontò diverse vicende, ma quella del bambino di una delle detenute salvato facendolo uscire nel carrello della biancheria sporca dopo averlo addormentato con una pezza imbevuto di vino mi colpì in modo particolare. Era un gesto che coniugava qualcosa di terribile e bellissimo, una sorta di necessità, il dovere di portare avanti la vita nonostante tutto. È dal rapporto con quel gesto, che parla del mondo da cui veniamo e di quello che vorremmo costruire, che nascono tutti i personaggi di fantasia di Ciò che nel silenzio non tace“.

Quali sono state le sue fonti di ispirazione?

I libri, sicuramente. Quelli che ho già citato, ma anche molte altre autrici e autori. Non seguo mai un modello unico: da ognuno prendo qualcosa, in ognuno ritrovo qualcosa. In certi casi anche il cinema, l’arte contemporanea, l’esercizio fisico e le camminate in natura mi aiutano a trovare la giusta attitudine alla scrittura.

C’è poi la potenza dei contesti e dei luoghi: le pietre gelide del carcere, la luce, gli alberi, i campi coltivati, la nebbia padana, ma soprattutto la potenza delle vite vissute. Suor Giuseppina De Muro, la mia storia familiare, le mie nonne e i miei nonni ognuno con il suo pezzetto di storia e tutto quell’intrico denso e ingombrante che sono le storie familiari di cui ognuno di noi è fatto. E infine c’è la spaventosa meraviglia della vita di tutti i giorni che s’intesse mimetica ad animare le pagine”.

Progetti per il futuro?

“Molti, forse troppi. Sono laureata in Scienze e Tecnologie Agrarie e sto completando il percorso per ottenere l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole superiori. Vorrei provare a scrivere anche di scienza e, a proposito di scrittura, mi piacerebbe ampliare il tempo da dedicarle. Ho il sogno di scovare una minuscola casetta nella natura dove allestire una sorta di studio e spero di tornare presto a lavorare su progetti di ampio respiro. Ultima confessione: non vedo l’ora di tornare a viaggiare“.


 

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