“La gita in barchetta” di Andrea Vitali
La gita in barchetta
di Andrea Vitali
(Edizioni Garzanti, 2021)
Chi è Andrea Vitali
Laureato in Medicina all’Università Statale di Milano, è scrittore prolifico e molto seguito dal pubblico.
Ha esordito nel 1990 con il romanzo breve Il procuratore, ispiratogli dai racconti di suo padre; nel 1996 ha vinto il Premio letterario Piero Chiara con L’ombra di Marinetti, ma il grande successo lo ha ottenuto nel 2003 con Una finestra vistalago (Premio Grinzane 2004).
Nel 2006 ha vinto il Premio Bancarella con il romanzo La figlia del Podestà; nel 2009 il Premio Boccaccio e il Premio Hemingway.
Tra le sue tantissime pubblicazioni si ricorda anche il libro per bambini La zia Ciabatta (Garzanti, 2020).
I suoi libri, pubblicati in Italia da Garzanti, sono stati tradotti in molti paesi, tra cui Turchia, Serbia e Giappone.
Di cosa parla
Nella Bellano insolitamente ventosa di inizio 1963, Annibale Carretta dovrebbe essere conosciuto come ciabattino.
Dovrebbe, perché la sua indole è sempre stata un’altra. Nato «strusciatore di donne», uno che approfitta della calca per fare la mano morta, nella vita ha rimediato più sganassoni che compensi per le scarpe che ha aggiustato. Ed è finito in miseria, malato e volutamente dimenticato dai più. Ma non dalla presidentessa della San Vincenzo, che sui due locali di proprietà del Carretta, ora che lui sembra più di là che di qua, ha messo gli occhi. Vorrebbe trasformarli nella sede della sua associazione. Per questo ha brigato per farlo assistere da una giovane associata, Rita Cereda, detta la Scionca, con il chiaro intento di ottenere l’immobile in donazione. E in parte ci riesce anche, se non fosse che quelle due stanze del Carretta ora a Rita farebbero parecchio comodo.
Le vorrebbe dare alla madre per il suo laboratorio di sartoria, e alleviarle così il peso della vita grama che fa: vedova e col pensiero di una figlia zoppa, Rita, appunto; una malmaritata, Lirina, che non sa come liberarsi del muratore avvinazzato che ha sposato; e poi Vincenza, bella ma senza prospettive, che seduta sul legno di una barchetta vede riflesso nello specchio del lago il destino che l’attende e al quale non sa sottrarsi.
Su queste prime note si intona la sinfonia di voci e di vicende che hanno fatto di Bellano il paese-mondo in cui tutti possono ritrovare qualcosa di sé, e che nella Gita in barchetta interpreta una delle migliori partiture composte dalla penna leggera e tagliente di Andrea Vitali. Per i lettori è l’irresistibile occasione di immergersi ancora una volta nell’intreccio sorprendente di storie che è la vita.
Cosa ne penso
Ci troviamo sempre a Bellano, il luogo dove lo scrittore vive e dove ambienta le sue storie. Siamo nel 1963, i personaggi sono molti, soprattutto figure femminili, le vediamo, ascoltiamo, assistiamo alle loro vite normali, cariche di piccole storie, desideri, aspettative, ma anche frustrazioni.
Ne ha molte la vedova Cereda, lasciata in miseria da un marito incapace e con tre figlie, di cui la prima, a sua volta, ha fatto un pessimo matrimonio. La seconda, Rita, ha un grave difetto della deambulazione, per cui è detta la scionca e non può realizzare certo i sogni della madre. Tutte le speranze sono affidate alla più giovane, Vincenza, bellissima, che si sta diplomando maestra.
C’è anche un’altra madre decisa a rivendicare la sua emarginazione di emigrata siciliana. Si tratta di Assunta Sciacca, coniugata Comminatore, e madre di Niccolò, molto bravo e studioso, tanto che, con enormi sacrifici, si sta laureando in legge, per poi intraprendere la carriera di avvocato.
Le due donne, pur senza dirselo, cominciano a vagheggiare su un possibile matrimonio tra Vincenza e Niccolò, che sancirebbe per entrambe un riscatto indubbio e una realizzazione sociale.
Così inizia una sorta di partita a scacchi, dove le pedine sono i due giovani, per giungere all’obiettivo. La vicenda non sarà però così lineare, tra le strade del paese e il lago, tante parole, tanti accadimenti, tanti pensieri. E infine, ovviamente, una gita in barchetta.
Un bel libro, da leggere e assaporare con calma, ironico e nello stesso tempo malinconico.
Recensione a cura di Fulvia Perillo, scrittrice e promotrice culturale