‘La mappa del Pirata’: intervista all’autore Giacomo Pellizzari
La mappa del Pirata. Guida sentimentale ai luoghi di Pantani
di Giacomo Pellizzari
(Cairo Editore, 2024)
Tra poche ore, esattamente il 4 maggio, prenderà il via la 107° edizione del Giro D’Italia, una manifestazione che ha appassionato ed ancora appassiona migliaia di persone. La partenza sarà da Venaria Reale con passaggio a Superga nel giorno del 75^ anniversario della tragedia del Grande Torino.
Ma quest’anno cade anche un altro triste anniversario: quello della morte di Marco Pantani detto il Pirata che ci lasciava esattamente vent’anni fa (il 14 febbraio 2004). Insieme ad altri ‘grandi’ come Coppi, Bartali, Gimondi, Binda, Moser, Saronni, tanto per citarne alcuni, rimane uno dei ciclisti più amati dalle folle e il suo ricordo resta vivo più che mai. Una vita fatta di vittorie e cadute, sofferenze e qualche gioia, un pò come quella di tutti noi.
Con il libro La mappa del Pirata. Guida sentimentale ai luoghi di Pantani lo scrittore Giacomo Pellizzari, ha raccolto storie, testimonianze ed emozioni di coloro che l’hanno incontrato, sia nei momenti più splendenti che in quelli più oscuri. Sentiamo cosa ci dice direttamente l’autore.
Innanzi tutto, come si è accostato al mondo del ciclismo?
“Ho aperto un blog nel 2007, quando ho iniziato ad andare in bici da corsa. E, tra una pedalata e l’altra, prendevo appunti mentali, come in una moleskine. Poi tutto questo è diventato un libro: sono stato notato dalla casa editrice Rizzoli che mi ha contattato e da lì ho pubblicato un libro all’anno.
Ma il ciclismo professionistico, quello del giro e del tour per intenderci, l’ho sempre seguito sin da bambino. Nel 1983 mio nonno mi portò al Palazzetto dello Sport di Milano (quello il cui tetto poi crollò nella famosa nevicata del 1985) a vedere la Sei Giorni: correvano Moser e Saronni. Lui (e di riflesso io) era saronniano. All’epoca era come dire Milan e Inter”.
Come nasce questo libro?
“Marco Pantani era il mio eroe. Alto e mingherlino come me (172 cm di altezza e 56 Kg di peso). Praticamente fuori uso per qualsiasi sport. E invece in bici batteva gli energumeni in salita. In lui ho visto una rivincita che a tratti – e metaforicamente ovviamente – era anche la mia.
Ho sempre sognato di scrivere un libro su di lui, ma non volevo il solito libro su Pantani e la sua tragica storia. Cercavo qualcosa che lo riconsegnasse vivo, e allora per scriverlo sono andato in bici ed ho percorso tutte le sue salite. Quelle dove ha vinto, dove ha perso, quelle della Romagna dove amava allenarsi”.
Ci dica qualcosa sulla trama…
“Non è una biografia di Pantani. È un viaggio nei suoi luoghi. Da Cesenatico al Mont Ventoux, passando per le Dolomiti e le camere d’albergo in cui ha alloggiato: quella dell’Hotel Touring di Madonna di Campiglio dove venne trovato con un valore dell’ematrocrito superiore al consentito e dunque sospeso dal Giro d’Italia (che stava stravincendo) o quella del residence Le Rose di Rimini (oggi non esiste più) dove è stato trovato morto, in overdose di cocaina. Due luoghi del delitto, se vogliamo.
Ma ciò che conta di più è il fatto che in Italia ho trovato centinaia di salite con in cima la scritta Il Carpegna mi basta (Il Carpegna era la salita tra Romagna e Marche che Marco amava per antonomasia, la faceva e la rifaceva e diceva sempre che a lui bastava solo quella). Oppure cippi improvvisati con su scritto Salita Pantani. Mi sono chiesto quante ce ne fossero in Italia e alla fine credo siano di più di quelle dedicate a Coppi o a Bartali.
E se viene così tanto ricordato, significa che è ancora vivo. Le persone rimangono nei luoghi, nei paesaggi, nelle proprie terre care”.
Quanto tempo ha richiesto la stesura del libro?
“Una prima parte di ricerca: ho fatto numerosi viaggi e interviste a Cesenatico e in Romagna e tantissime pedalate nell’arco di anni per percorrere tutti i suoi passi (anche se ancora non sapevo se ne avrei scritto). E poi una seconda di stesura: rapidissima, 6 mesi. Ero un fiume in piena, lo sentivo dentro di me. E credo, spero, di avergli reso omaggio riportandolo in vita, anche se solo per qualche pagina”.
E la passione per la scrittura, invece? Quando nasce?
“Due nascite: la prima a sette anni quando scrivevo poesie. Poi ho smesso, ma se le rileggo oggi, ci rivedo molte cose di quelle che poi sono state. La seconda all’Università: mentre preparavo la tesi mi sono accorto che scrivere mi veniva facile e provavo piacere nel farlo. Tra i due periodi, un gap, lo zero assoluto. In IV Ginnasio in Italiano scritto avevo quattro. Ora non riuscirei a fare altro. La scrittura è ciò che più mi viene naturale e spontaneo”.
Lei, come descriverebbe la vita di Marco Pantani con 3 colori?
“Beh, due d’obbligo: il rosa del Giro e il giallo del Tour che vinse nello stesso anno (1998) e come terzo il verde: quello della maglia di miglior scalatore, che oggi è blu, ma nel 1998 quando la indossò era verde”.
Progetti per il futuro?
“Vorrei scrivere qualcosa che riesca a esprimere come la bici non sia solo la bici e come il pedalare sia un viaggiare mentale anzitutto, terapeutico e alla fine filosofico. Ho un libro in cui pedalare sia pensare. Vedremo, vi lascio con il fiato sospeso”.
Intervista a cura di Fausto Bailo e della Premiata Libreria Marconi di Bra (CN)