“Le lesioni dell’anima” esordio di Maria Rosa Bellezza
Le lesioni dell’anima
di Maria Rosa Bellezza
Homo Scrivens, 2021
Maria Rosa Bellezza è una donna forte, dolce e concreta, avvocato e mamma di due bambini. Le lesioni dell’anima è il suo romanzo d’esordio.
L’ha intervistata per noi Daisy Raisi, scrittrice e redattrice
Benvenuta, Maria Rosa. Le lesioni dell’anima è il tuo libro d’esordio che colpisce già per l’intensità del titolo. Vuoi accennarcene per sommi capi il contenuto?
Grazie sia a Daisy, per l’intervista, che a Dianora, per l’ospitalità. Le lesioni dell’anima narra dell’incontro di Ada con Mizio, due anime speciali.
Ada perde l’udito a dieci anni e deve imparare a recuperarne una parte con l’aiuto degli apparecchi acustici, Mizio è un sensitivo che ha ereditato i suoi poteri dalla bisnonna Gelsomina. Entrambi si sentono diversi, e in questa diversità si scoprono e si avvicinano. Nasce un timido amore, ma le vicende della vita li allontanano. Si ritrovano vent’anni dopo, con un diverso bagaglio di crescita alle spalle e un amore mai sopito che riesplode con passione.
In questo tuo romanzo si parla di poteri medianici. Qual è il tuo rapporto con il soprannaturale? Lo temi ? Lo ricerchi?
Sin da piccola ho sempre avvertito una forte attrazione per il mondo dell’occulto, per ciò che esiste, ma che non si percepisce coi sensi ordinari. Ho un carattere molto razionale e pragmatico e certe aperture non mi appartengono, per cui non ho mai potuto approcciarmi alla materia se non in modo teorico, leggendo testi e osservando. Tuttavia il mondo esoterico mi ha aperto la strada per un cammino di crescita interiore, di consapevolezza e spiritualità.
Si parla anche del conflitto fra libertà e libero arbitrio. Se un sensitivo si offrisse di svelarti il futuro, sceglieresti di ascoltarlo o preferiresti non sapere nulla, per non esserne condizionata?
Come ho spiegato nei contenuti speciali del libro anche io ho un amico sensitivo da cui ho tratto ispirazione per la figura del personaggio di Mizio. In passato gli ho spesso chiesto indicazioni precise sul mio futuro, non mi ha mai fatto paura conoscere l’ignoto.
Adesso sono cambiata, gli chiedo dei consigli oppure gli manifesto un mio “sentire” per avere conferma che sia giusto, ma non gli chiedo più di dirmi con precisione cosa mi accadrà. Più vado avanti con gli anni, e diminuisce il mio tempo su questa Terra, più ho voglia di godermi quello che mi capita senza pensarci troppo, di lasciarmi sorprendere.
Viviamo in una società che propone modelli irraggiungibili, che ci vorrebbe tutti perfetti. Ada, la protagonista del tuo libro, è affetta da sordità e, pertanto, costretta a indossare imbarazzanti apparecchi acustici che la fanno sentire goffa, insignificante. Come vivere bene in un mondo che tende a fare sentire sbagliato chi ha delle disabilità?
La risposta giusta sarebbe: fregandosene, ma mi rendo conto che non è così semplice, soprattutto quando le menomazioni ti colpiscono nell’età formativa in cui già si fa fatica a costruire un modello di se stessi soddisfacente, figuriamoci farlo con un bagaglio pesante come una menomazione fisica o sensoriale. L’unica strada percorribile per uscirne passa per l’accettazione completa e profonda di sé. Imparando ad amarsi incondizionatamente, a piacersi, a integrare come pregio e non come difetto la propria diversità, diventa poi facile farsi accettare e non sentirsi delusi dalla propria lontananza dal presunto modello di perfezione proposto dalla società.
C’è un particolare della tua storia che mi ha colpito moltissimo. L’udito di Ada è compromesso, ma lei sente in maniera diversa. Vuoi parlarcene?
Quando Ada diviene sorda, subisce una doppia delusione: non solo perde l’udito, ma scopre che gli apparecchi acustici non glielo restituiranno per intero, nel modo che lei ricordava. Ci sarebbe una via facile: accettare di essere completamente sorda e imparare la lingua dei segni.
Sceglie invece di ricominciare da capo, si spinge oltre i suoi limiti, e fa una scoperta sorprendente: non si sente con le orecchie, ma con il cervello e il cervello le mette gli altri sensi a disposizione. Gli occhi prima di tutto e un’espansione dell’intuito che le consentirà di colmare molte lacune e acquisire una sensibilità speciale; quella sensibilità di cui poi si innamoreranno sia il marito che l’amico.
Qual è il ruolo del caso nelle vicende narrate?
Mizio dice sempre che nulla accade per caso. È anche una delle frasi preferite di mia madre. Ne sono profondamente convinta anche io. Se mi guardo indietro, mi rendo conto di come eventi apparentemente scollegati tra loro e distanti nel tempo in realtà abbiano condotto a quelle che sono state poi le scelte più importanti della mia vita. Esistono scelte, incroci, snodi, ma tutto ci conduce verso la direzione che la nostra anima conosce. Nulla è scritto, ma nulla è per caso.
Hai definito questo romanzo come lo specchio di una tua rivoluzione interiore. In cosa consiste questa rivoluzione?
Una rivoluzione letteraria più che altro. La scrittura nasce come atto intimo, personale, ci si mette a nudo narrando di sé in prima persona o frantumandosi nella narrazione di personaggi inventati. Quando questo atto intimo diviene concreto, si trasforma in un libro che lascia il suo autore e viene letto da altri, diventa un dialogo con l’esterno che comporta un continuo lavoro di confronto, e anche di assunzione di responsabilità per le parole che sono state scritte.
Ecco, la mia rivoluzione è questa: non avrei mai pensato di compiere davvero questo passo, di avere il coraggio di mostrare lati di me più o meno celati e di essere pronta anche a discuterne e a sviscerarli.
Grazie a Maria Rosa Bellezza per aver risposto alle domande di questa intervista e un caloroso in bocca al lupo per la sua carriera di autrice.