Luigi Frigoli: lo storico con piedi nel passato e testa nel futuro
Chi è Luigi Barnaba Frigoli
Milanese, 46 anni, giornalista, storico e scrittore, ha alle spalle una brillante produzione di romanzi e di saggi dedicati a due grandi passioni: il Medioevo e la dinastia dei Visconti, con divagazioni nel XIX secolo e contaminazioni con la contemporaneità più discussa dell’intelligenza artificiale, nel suo ultimo romanzo Il terzo Grimm (Rizzoli 2024).
Laureato in Lettere a indirizzo a storico a Milano, ha esordito nel 2013 con la trilogia sui Visconti: La Vipera e il Diavolo, Maledetta Serpe, con cui ha vinto il Premio internazionale Lago Gerundo 2018 per il miglior romanzo storico, e Il morso del basilisco (edizioni Meravigli).
È autore di saggi, pubblicati sull’Archivio storico lombardo, sulla rivista Studi di Storia medioevale e di Diplomatica dell’Università di Milano, oltre a essere autore di una serie di podcast, disponibili su Spotify, dedicati alle figure femminili del Medioevo lombardo.
Con il romanzo storico Guerriera – L’incredibile storia di Bona Lombardi (Rizzoli 2022), si è aggiudicato il Premio Agar Sorbatti, assegnato nell’ambito del Premio Amalgo 2024.
Come nasce e si sviluppa l’idea di un romanzo storico?
«Devo fare un distinguo tra la mia passione per la storia da un punto di vista scientifico e per quella divulgata come romanziere. Io sono uno studioso del periodo medievale, sul quale ho pubblicato numerosi saggi in riviste specializzate di settore, e ho una vera e propria passione per la storia della Milano viscontea. Dunque faccio ricerche, leggo le fonti, mi documento sulle cronache antiche, sui manoscritti, sulla corrispondenza, su tutte le carte che posso avere a disposizione e che non sono accessibili a chi non ha un’adeguata formazione. Mi capita, così, di imbattermi in vicende che sono esse stesse una storia, in personaggi dalla vita incredibile che meritano di essere raccontati in una forma diversa dal saggio storiografico. A quel punto vado a vedere se ci sono romanzi già scritti su questi argomenti e, in caso contrario, lo faccio io».
Il segreto è tirare fuori da fonti storiografiche vicende che contengono la trama di un romanzo?
«Occorre l’occhio dello studioso per individuarle, la curiosità dello storico per tirarle fuori, la pazienza del giornalista nelle ricerche, la capacità dello scrittore per scriverle, ma è proprio così. Tuttavia, quando si è attratti da una storia, il lavoro è solo all’inizio. Poi le fonti vanno decifrate, tradotte e riscritte per costruire le sequenze cronologiche, ci sono nuove ricerche da fare e sopratutto occorre documentarsi per ricostruire il contesto. Quando si scrive un romanzo storico vanno rispettate le ambientazioni, gli usi, le abitudini, anche nei dettagli meno usuali, altrimenti si rischiano pericolosi anacronismi».
Con Bona Lombardi, protagonista di Guerriera è andata così?
«Bona Lombardi è un personaggio straordinario che ho incontrato per caso mentre stavo studiando un’orazione funebre inedita del XV secolo per un saggio su Caterina Visconti, altra donna incredibile, promessa sposa del re Riccardo II d’Inghilterra, poi immolata sull’altare della stirpe viscontea e data in sposa al cugino di primo grado Gian Galeazzo Visconti, che fece arrestare lo zio Bernabò per detronizzarlo.
Nel tentativo di approfondire il lato umano e personale di Caterina, ho consultato tutto il materiale che ho potuto reperire. E’ lì che mi sono imbattuto nella raccolta Gynevera de le clare donne di Giovanni Sabadino degli Arienti: 32 biografie di illustri donne del XV secolo, scritte da un contemporaneo e pubblicate 4 secoli dopo.
Scorrendo i nomi, tra regine, contesse, nobili e sante ho trovato Bona de Vultulina e mi sono chiesto che cosa ci facesse una contadina valtellinese in mezzo agli altri personaggi femminili di ben più elevato lignaggio. Da quel momento ho iniziato una ricerca su Bona, che si è rivelata difficile perché non si trova molto su di lei e Sabadino è un contemporaneo che ha raccolto voci, racconti e qualche notizia di prima mano alla corte bolognese in cui viveva».
Come è riuscito a scrivere un romanzo così vivo, dove la Guerriera emerge in tutta la propria forza e
contraddizioni?
«La vita di Bona Lombardi è un vero romanzo, ma con tanti vuoti che ho dovuto colmare unendo i puntini tra un anno e l’altro, tra una vicenda e l’altra, documentandomi sui fatti storici, dalla lunga permanenza in Valtellina dei mercenari di Pier Brunoro di San Vitale alla conquista della Marca. Bona è stata peraltro ribattezzata la Giovanna d’Arco italiana ed è contemporanea della ben più celebre eroina beatificata, ma si trovano poche informazioni su di lei.
Ho potuto ricostruire la sua storia leggendo i biografi dei secoli successivi, che ne raccontano la scelta di seguire, a 17 anni, i mercenari che lasciano la Valtellina. Forse per amore di Brunoro che divenne suo marito, forse perché venne rapita, ma di certo si sa che fu una vera combattente che lasciò il segno, conquistandosi il rispetto e un posto nella storia sui campi di battaglia.
Poi, con ulteriori ricerche, ho scoperto che era figlia di un ex mercenario, un pastore della Valtellina che aveva combattuto in Westfalia, aveva fatto carriera ed era tornato a casa per fare il contadino. Si era sposato e aveva avuto questa figlia a cui deve aver insegnato i rudimenti dell’arte militare. Ho messo insieme i dati e ho cominciato a scrivere, facendo delle scelte tra le varie ipotesi che mi sono trovato davanti».
A proposito di questa sua ultima affermazione, in un romanzo storico, quanto è concesso alla libertà dell’autore?
«Io mi sono dato una regola: il 60 per cento è storia, il 40 arriva dalla creatività dell’autore. Prima ero molto più rigido, diciamo 80 e 20 per cento, poi mi sono detto che si può osare di più. È chiaro che ci si deve sempre basare sul verosimile, quando non si ha a disposizione il vero. Bisogna trovare un riferimento nelle fonti, ma lo si può deformare in base alla trama. Capita che su un fatto ci siano varie versioni tra le quali l’autore sceglie quella che lo convince di più e che meglio si adatta al romanzo, senza che questo sia un falso.
Nel caso di Bona Lombardi, avevo date precise delle sue gesta e di quelle della sua compagnia di ventura, ma tra l’una e l’altra mi sono dovuto affidare alla fantasia, pur rimanendo aderente al contesto che ho ricostruito con una rigorosa e minuziosa ricerca. Gli episodi di saccheggio e orribili violenze a cui partecipano gli uomini di Brunoro dopo la conquista della Marca non me li sono inventati, funzionava così con le compagnie di ventura vincitrici. Quella è storia, mentre le reazioni di Bona le ho ipotizzate e scritte in base alla ricostruzione del personaggio».
Il romanzo storico si basa comunque sempre sulle fonti…
«Non può essere diversamente, altrimenti non sarebbe tale. È lì che si trovano i dettagli, i particolari che dissemino nei miei romanzi, che possono sembrare inventati ma che non lo sono e servono a ricostruire i personaggi nel giusto contesto».
Nel suo ultimo romanzo, Il terzo Grimm esce dal campo del romanzo storico. Perché questa scelta?
«In realtà il punto di partenza è lo stesso. Ovvero la scoperta di un personaggio che, mi permetta questa espressione, ‘desidera essere raccontato’, tale è la sua particolarità. Tutti conosciamo i fratelli Jacob e Wilhelm Grimm, ma in pochi sanno che c’era anche un terzo fratello, Ferdinand, che ha collaborato con gli altri due nella la raccolta delle fiabe della tradizione orale e nella loro trascrizione. Solo che è caduto nell’oblio per la sua vita assolutamente fuori dalle regole. Era uno spendaccione, un perdigiorno, girava per le taverne, un precursore dei poeti maledetti che sarebbero arrivati di lì a poco. Siamo nel 1810 e lui alla cena di Natale, davanti a tutta la famiglia, dichiarò di essere omosessuale.
Una storia che chiedeva di essere raccontata, ma io sono uno studioso del Medioevo non del XIX secolo. Allora ho scritto un romanzo di formazione che ho calato in una grande favola dei fratelli Grimm. Poi, nella trama principale, ho inserito alcune fiabe scritte dialogando con ChatGpt, interrogando l’AI con una lunga e faticosa serie di botta e risposta, finché non ho ottenuto un risultato soddisfacente. E ho inserito anche un personaggio, una nemesi di Ferdinand Grimm, la metafora di quello che ChatGpt potrebbe diventare, e le ho affidato la coscienza oscura del protagonista».
Cosa bolle nella prolifica mente di Luigi Barnaba Frigoli?
«Un sacco di cose che sto approfondendo, idee che devo incanalare nella direzione del saggio o del romanzo. Diciamo che ho un cassetto pieno di pagine già scritte nella mia mente, ma che devo ancora mettere giù fisicamente. Mi manca il tempo. Ormai scrivo tra una fermata della metro e l’altra, sul block notes del telefono…che ha soppiantato i vecchi taccuini».
Intervista a cura di Lina Senserini, docente e giornalista. Fotografie di Manfredo Pinzauti.