Parla Giorgia Turnone sulla serie tv ‘Il trono di spade’

Parla Giorgia Turnone sulla serie tv ‘Il trono di spade’


O si vince o si muore.

Lineamenti interpretativi del Trono di Spade

di Giorgia Turnone

(Bookabook, 2024)


Si può appassionarsi tanto a una serie tv da farne l’argomento di un saggio filosofico-sociologico? Analizzarne nel dettaglio ogni aspetto di comunicazione, linguaggio, inquadratura, approfondendo la psicologia dei personaggi e le scelte della regia?
Sì, se la serie tv si intitola Il Trono di spade ideata da David Benioff e Daniel Brett Weiss – 8 stagioni, 73 episodi, 59 Emmy, 160 nomination, record di telespettatori, incassi e costi di produzione – e se l’autrice è Giorgia Turnone. Un successo planetario e una giovane scrittrice laureata in Scienze dell’informazione editoriale e attualmente dottoranda di ricerca in Diritti, economie e culture del Mediterraneo..

O si vince o si muore. Lineamenti interpretativi del Trono di Spade  è il saggio che esplora il mondo complesso creato da George R. R. Martin e riflette su alcuni aspetti della serie. La centralità del rapporto tra individuo e potere, per esempio, o la volontà di autoaffermazione dell’uomo, la materialità della violenza, la rappresentazione del sesso, con l’obiettivo di delineare una convincente interpretazione delle sue specificità.

Abbiamo chiesto all’autrice di raccontarci le motivazioni che l’hanno spinta a intraprendere questo lavoro, animata alla passione, ma sostenuta nella scrittura e nell’analisi da un notevole bagaglio culturale e preparazione.

Come è nata l’idea di scrivere un saggio di natura filosofico-sociologica su Il trono di spade?

«L’idea si è modellata intorno a un concetto molto specifico: provare a fare chiarezza. ll Trono di Spade è una delle opere più complesse portate sul piccolo schermo. Una trasposizione alquanto riuscita della magnum opus di George Martin, le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco sfortunatamente ancora incompiute, ma anche una serie tv dal successo straordinario e, ad oggi, non replicato.

 

Dalla quinta stagione in poi, la storia procede senza l’ausilio dei libri di Martin. A un certo punto, si ritrova letteralmente incastrata tra le idee degli sceneggiatori, le indicazioni (grossolane?) dell’autore e, soprattutto, le aspettative del pubblico, che sembrano diventare veri e propri dogmi. Dunque, la storia non può che terminare con l’ascesa di Jon e Daenerys, la redenzione di Jaime, la morte di Cersei per mano del suo gemello e così via. Ma ciò non avviene. Da qui il malcontento generale e la presa di distanza da un finale poco applaudito da quel pubblico ora adulatore, ora carnefice, madre e matrigna come la natura leopardiana. Anche io, da appassionata non solo del Trono di Spade, ma anche della cultura visuale, ho voluto dire la mia. Ho pensato di farlo scrivendo un saggio che interpretasse i nuclei tematici del macro-mondo della narrazione e del micro-mondo interno ai personaggi».

Che tipo di ricerca ha condotto per approfondire la propria analisi?

«La premessa da cui è impossibile prescindere è la conoscenza capillare della serie e dei personaggi, anche in rapporto alla loro controparte cartacea, in base alla quale è possibile risalire agli intenti dell’autore. Quindi, per prima cosa, ho individuato elementi comuni in alcuni di essi. Per esempio, Tywin, Tyrion, Cersei e Joffrey sono legati non solo dallo stesso patrimonio genetico, essendo membri della stessa famiglia, ma anche dalla tematica del potere. Jaime e Theon, invece, sono narrativamente molto distanti, ma condividono alcuni risvolti di trama legati al problema identitario. I percorsi di Viserys e Daenerys si basano sulla dialettica tra variazione e ripetizione, dando così vita a una continuità tematica che finisce per unirli. Dopodiché, mi sono avvalsa di fonti che potessero consentirmi di approfondire gli elementi di mio interesse, senza mai forzare l’interpretazione, pena il sacrificio della logicità di quanto affermato».

Come ci si rapporta allo studio delle serie tv?

«Dipende. Ci sono serie e serie. Quelle che nascono per narrare una storia originale, quelle che traducono in tv eventi e vicende che fanno parte di un libro, serie di intrattenimento, serie più complesse. Va da sé che non ci si può rapportare a tutte nello stesso modo. È sicuramente molto interessante prendere atto di come ormai le serie tv si siano cimentate nell’ardua impresa di sfidare il cinema sul suo stesso campo. In questo il Trono di Spade ha rappresentato senza dubbio un fulgido esempio.

 

Detto questo, alla serialità televisiva, in generale, bisogna rapportarsi in modo cauto, prudente, senza eccedere nell’idolatria di questa nuova forma d’arte e dei suoi prodotti, spesso tutto fuorché indimenticabili, in quanto proni alla massificazione dei contenuti. È senz’altro un fenomeno molto interessante da studiare. Si tratta non solo di un altro modo di intendere la narrazione (tripartita in episodi, stagione e serie nella sua interezza, combinata in orizzontalità e verticalità…), ma anche di un diverso modo di leggere, e interpretare, il rapporto tra fruitore e medium» .

Come spiega il successo di questa serie, i cui contenuti non sono certo leggeri?

«Credo che non sia assolutamente casuale, bensì spiegabile alla luce di diversi fattori, che non sono l’uso massiccio di sesso e violenza, come ipotizzato da qualcuno. Quelli, semmai, sono stati elementi, alla lunga, abbastanza criticati. Credo piuttosto che i segreti del successo della serie risiedano anzitutto nella rete d’interazione tra i personaggi, molto aderente a quella che è possibile riscontrare nella vita reale. Le morti di alcuni di loro, principali e secondari, scandiscono e riflettono perfettamente il lasso di tempo che intercorre tra le azioni violente e quelle non-violente dell’uomo, rendendo la narrazione persuasiva e realistica.

Poi, la struttura sociale e i temi Il Trono di Spade è molto più simile ai testi storici che a poemi come Beowulf o Táin Bó Cúailnge (da noi nota come “La grande razzia”), pregni di epicità. Connotare la storia di caratteristiche facilmente rintracciabili nella realtà aiuta sicuramente il coinvolgimento dello spettatore. Mescolando sapientemente fantasy e realismo, la serie di Benioff e Weiss riflette la complessità della nostra realtà imperfetta, relega le creature fantastiche nel mito, le rende “altro”, qualcosa di assai distante dagli scontri tipici e quotidiani degli uomini.

Eppure, è proprio miniaturizzando il fantasy che ne amplifica l’impatto sulla storia (pensiamo ai draghi di Daenerys). Infine, tratta temi pressoché universali: amore, potere, identità, odio, vendetta, violenza, sesso (nelle sue forme canoniche e devianti), e lo fa con incredibile disinvoltura».


Intervista a cura di Lina Senserini, docente e giornalista.


 

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