“Stella” esordio letterario di Arianna Andreoni
Chi è Arianna Andreoni
Arianna Andreoni è una studentessa universitaria di 22 anni, vive a Vecchiano, un paese di 12 mila abitanti in provincia di Pisa, e studia Giurisprudenza. Il suo sogno è fare l’avvocato, ma la sua passione sono i libri. Da leggere e da scrivere. Così viaggia con un taccuino in tasca, su cui appunta le cose che la sorprendono o la colpiscono, con l’idea che da questi spunti possano nascere storie.
L’amore per la scrittura tuttavia è più recente ed è nato circa tre anni fa, quando ha scritto il suo primo racconto, mai pubblicato, La strada per tornare a casa. Anche qui il tema è quello della pazzia e della vita nei manicomi, prima che la legge Basaglia li chiudesse, come nel suo romanzo d’esordio Stella, pubblicato nel 2020 da Porto Seguro Editore.
Di cosa parla Stella
Stella, la protagonista del libro è quella che si dice una trovatella, arrivata chissà come e chissà da dove, nella stalla di una fattoria vicino a Vecchiano, nelle campagne pisane.
Siamo negli anni Cinquanta, nell‘Italia da ricostruire, ancora ferita dalla guerra, con incredibili sacche di povertà e l’ossatura costituita dalla società rurale, con le sue grandi famiglie patriarcali che da lì a pochi anni si disgregheranno con l’esodo verso il miraggio della città e il boom degli anni Sessanta.
Libero e Raisa Cecchi hanno cinque figli e sulle spalle il lutto della morte dell’ultima, Maria, poco più che neonata, ma non esitano ad accogliere in casa la piccola. E a darle il nome Stella, come il ciondolo d’oro che porta al collo. Ma la bambina ha in sé il seme della follia, della malattia mentale come si diceva all’ora, che esploderà in tutta la sua dirompente gravità quando starà per terminare gli studi.
Inizia così il suo calvario tra casa e manicomio di Maggiano, portandosi appresso lo stigma della matta come la chiamano in paese, ma sostenuta dalla famiglia e da due amiche. Tutti la amano incondizionatamente, anche se lei sembra rifiutare l’amore e l’affetto, finché un altro terribile lutto non la riconduce alla ragione e all’amore per i suoi cari. Quello che viene dopo, si scoprirà leggendo, attraverso un percorso tra la diversità, la difficile accettazione, la solitudine, il dolore e un finale sorprendente.
Cosa ne penso
Stella è un libro che fa pensare, perché apre una finestra su un passato che sarebbe più facile dimenticare, quando il manicomio era tutto tranne che un luogo di cura e i ricoverati erano internati, in molti casi, per la loro scomoda diversità, piuttosto che per la malattia.
C’è una frase che racchiude tutto il senso di questa storia, con la quale l’autrice stessa introduce il libro: «È l’essere diversi che spaventa: avere ideologie diverse, comportamenti diversi, religioni diverse, costumi diversi e finché la società non avrà capito che si impara anche dal diverso, non potrà mai essere una società sana e felice».
Stella è in ognuno di noi, perché il suo essere diversa – strana, come la definiscono gli insegnanti e i suoi stessi familiari quando assume certi atteggiamenti eccentrici – è l’espressione del suo disagio, della sua voglia di cambiare, di evadere. Cosa che tutti, prima o poi, proviamo nella vita, soprattutto nel difficile passaggio verso l’adolescenza e poi verso l’età adulta.
Come Le donne libere di Maggiano, raccontate da Mario Tobino, anche lei è determinata a trasformare il buio in luce e quanto più la sua follia la trascina verso il basso, tanto più lei lotta per risalire. Sfiora l’abisso e risorge, fino a lasciarsi alle spalle il male dell’anima.
La storia, dunque, è una storia semplice, scritta in una prosa scorrevole, non troppo artefatta, né studiata e proprio per questo efficace. Si avverte tra le righe l’urgenza dello scrivere, come se i personaggi andassero troppo veloci, come se la vicenda avesse preso vita e la si dovesse inseguire. L’autrice non indugia troppo nella descrizione del momento storico, ma lo lascia intuire dai particolari, non si sofferma sui personaggi, ma li dipinge con poche e azzeccate pennellate rendendoli vivi.
È a Stella che dedica – come è naturale – lo spazio più ricco, a questa bimba bellissima e ribelle, forte e determinata, ma allo stesso tempo debole, come se le mancasse quel pezzo di vita sottrattole dall’abbandono da parte della madre naturale. Il crescendo che la porta al manicomio è ben tratteggiato da Andreoni, fino al momento del ricovero.
Senza svelare nulla, possiamo dire che la fine è sorprendente anche se, forse, qualche pagina in più avrebbe arricchito il plot di questa vicenda ben scritta ed emozionante. Tuttavia lo si può certamente perdonare ad una giovane e talentuosa scrittrice, entusiasta e appassionata, dalla quale aspettiamo ancora tanti altri bei libri come questo.
(recensione a cura della docente e giornalista Lina Senserini)