“Viera, un’italiana del ’23” ultima fatica di Paola Mattioli
Editore: PendragonAnno edizione: 2018Euro: 14,00
Chi è
Paola Mattioli è nata a Bologna nel 1962. Il padre dermatologo lavorava anche privatamente con la collaborazione della figlia, che prendeva gli appuntamenti, e la moglie Viera che faceva da assistente e infermiera. Cresciuta con la sorella Silvia in una famiglia allargata, insieme ai nonni materni e paterni, Paola si affranca dalla rigida educazione quando inizia a frequentare l’istituto magistrale.
È in quel periodo che scopre la magia della scrittura, della poesia in particolare.
Dopo il diploma di assistente di comunità infantili e anni di precariato, viene assunta dal Comune di Bologna e abbandona la sua passione. Riprende a scrivere poesie dopo la morte della madre nel 2006. La sua produzione è pubblicata in tre raccolte: “Vorrei” del 2012, “Al di là del cielo”, uscito nel 2015, “A piccoli passi”, del 2017. “Viera un’italiana del ’23”, pubblicato da Pendragon nel 2018 è la sua ultima fatica.
Di cosa parla il libro
Il libro è la biografia di Viera Bruni, la madre dell’autrice, scritta partendo da un piccolo diario con la copertina verde che un giorno salta magicamente fuori da un cassetto. Paola comincia a leggere, e più va avanti, più prende forma in lei la voglia di raccontare la storia “esemplare” di una donna italiana, nata all’inizio del ventennio fascista, cresciuta nella Romagna rurale e rossa, in una famiglia come allora ce n’erano tante, allargata e numerosa. Otto persone che condividevano gli spazi e il tempo, tra inevitabili scontri generazionali, l’iperprotettività di Viera nei confronti di Paola, cagionevole di salute.
La storia si apre con la premessa dell’autrice che spiega come è nato il libro, leggendo gli appunti e ricordi della madre, che Paola trascrive e aggiorna, perché le persone a lei care possano ricevere la testimonianza di una vita e trarne insegnamento. Il libro è diviso in due parti, il diario di Viera vero e proprio nella prima, il ricordo che Paola ha della madre, arricchito dagli aneddoti e delle storie raccontate da chi Viera l’ha conosciuta, nella seconda. L’autrice ha anche voluto mettere una serie di foto, alcune d’epoca, che ritraggono i membri della grande famiglia Mattioli-Bruni in diversi anni, situazioni e circostanze, insieme a pubblicazioni, disegni, documenti inediti.
Cosa ne penso
(a cura di Lina Senserini)
Definire il libro di Paola Mattioli una biografia è troppo semplice e riduttivo. Certo, lo è tecnicamente, ma l’operazione dell’autrice è molto di più che raccontare la vita di sua madre. Il diario in cui Viera Bruni ha annotato ricordi, esperienze e riflessioni è stato trascritto da Paola con la forza dell’amore e il rimpianto per questa donna straordinaria, scomparsa nel 2006, che la stessa autrice, nel suo sito, definisce «una casalinga, romagnola di Alfonsine, in provincia di Ravenna, chiacchierona e apprensiva che assecondava il marito nell’educazione iperprottettiva delle due figlie e in particolare della minore Paola».
Si sente in ogni modulazione delle parole e soprattutto nella seconda parte “Commenti della figlia Paola”, il vuoto che ha lasciato in lei. Si sente l’ammirazione e il desiderio di trasferire ai lettori la sua storia, che fin dall’inizio lascia immaginare un percorso durissimo, anche se la vita per lei è stata meno pesante, almeno nelle cose pratiche, di quella di molte donne sue coetanee. «Sono nata il 24 gennaio del 192… (l’ultimo numero è solo mio) in via Mameli 13, una strada di paese che costeggia il fiume Senio, ad Alfonsine, un paese della bassa Romagna – annota Viera ne suo diario – ma mio padre mi registrò il giorno dopo perché era indispettito dal fatto che fosse nata una femmina. Diceva che le femmine erano dei problemi, tuttavia col tempo si è completamente dimenticato e pentito di averlo pensato».
La forza di Viera è già in queste prime righe, anche se non è stata sufficiente ad affrancarla dal marito ingombrante e decisionista, per quanto profondamente amato, da genitori e suoceri troppo presenti, che alla fine l’hanno portata a trasferire nelle due figlie tutte le contraddizioni tra il suo carattere e la sua intelligenza, la società del tempo, i tabù anacronistici, che, dice la stessa Paola, hanno così fortemente influenzato la sua vita. Una donna “sbagliata”, forse, per il tempo in cui viveva. A partire dal nome che, si legge nell’incipit della seconda parte, «voleva essere Vera, ma si sbagliarono e scrissero Viera». Viera che alla fine si arrende, piegata dai dolori a cui non riuscirà più a reagire.
Sullo sfondo di questa storia familiare, la Romagna contadina, vivace e ricca di umanità, devastata dalla guerra il primo evento a fiaccare il temperamento forte e battagliero di Viera, che tra le sue annotazioni butta là riflessioni universali e senza tempo sul senso della vita: un’attesa, la definisce. «In tutti i tempi c’è sempre un’attesa anche di cose buone, e dico a me stessa, per rincuorarmi, che ci vogliono tanta pazienza, coraggio, umiltà e fede in Dio». Intorno alla madre, i membri della famiglia, il marito Paolo, i genitori e i suoceri, soprattutto il padre Silvestro, altra figura determinante per la vita della protagonista, poi amici, compagni di scuola, semplici conoscenti.
Alla fine, il libro è un breve romanzo storico, che lo stile semplice e scorrevole di Paola aiuta ad apprezzare ancora di più, da leggere tutto d’un fiato, esempio della metafora della vita di ognuno di noi.